La storia del marchio Pashmere ebbe inizio nel 1966, quando l’imprenditore, nonostante avesse una grande fabbrica nel nord Italia, trovò in Umbria una situazione favorevole alla produzione di questo tipo di prodotto. Luisa Spagnoli aveva organizzato, nelle vicinanze di Perugia fino ad arrivare ai più lontani confini della regione Umbria, una grande quantità di piccoli laboratori e di lavoranti a domicilio, strutturati rispettivamente o come piccola impresa o a volte localizzati all'interno delle proprie case, anche sviluppando e facendo applicare le conoscenze tecniche necessarie per la produzione, nuove per la struttura locale. La delocalizzazione di questi laboratori permetteva di produrre con una struttura minima rispetto alle normali filiere produttive del nord. Nel caso in questione fu deciso di creare una serie di campioni, simili a quelli richiesti che furono presentati a quei clienti americani e ad altri compratori italiani ed esteri - tedeschi, francesi e spagnoli - che apprezzarono lo stilismo e la qualità dei prototipi; vennero quindi effettuate delle importanti commesse. La produzione ordinata da questi primi clienti fu eseguita da alcuni laboratori locali e quindi consegnata; una parte dei clienti però contestò la qualità della merce, che fu rinviata al mittente. L’analisi di questo insuccesso scoraggiò l’imprenditore, che pensò di rinunciare a proseguire questa esperienza. Tuttavia i clienti che non contestarono la merce furono anzi molto soddisfatti e ne richiesero altrettanta. Fu deciso quindi di trasferire la struttura societaria direttamente in Umbria per potere meglio controllare la qualità della produzione e i laboratori scelti per la produzione della stessa.
In Umbria lo scenario economico alla fine degli anni ’60 era quello di una piccola regione del Centro Italia in cui l’attività prevalente era l’agricoltura. Serva da esempio ricordare solamente che le imprese di grandi dimensioni dei vari settori erano certamente inferiori a cinque. Il costo del lavoro in Umbria era notevolmente inferiore a quello in Lombardia, per una quantificazione numerica inferiore al 50%. Questo permetteva di produrre a prezzi molto competitivi rispetto alla concorrenza del Nord Italia. Inoltre nel Tessile – Abbigliamento, e in particolar modo nella maglieria, erano già presenti delle strutture complementari che permettevano la facilitazione della produzione. In particolare esistevano dei lanifici e delle filature che producevano i filati, e delle tintorie, che si occupavano della fase di tintura del prodotto.
Il basso costo del lavoro orientò la produzione verso alcune particolari lane che avevano come peculiarità finale l’economicità del prodotto, le quali erano principalmente configurabili come la “lana Shetland” – una fibra di lana prodotta da pecore che vivono nelle omonime isole del nord dell’Inghilterra-, la “lana Lambswool” – prodotta dalla tosatura degli agnelli– , “l’angora” – prodotta dalla tosatura della capra d’angora che vive nei bassopiani dell’Asia minore, le quali a volte servivano in maniera complementare tra di loro a formare il filato necessario.
Con questi prodotti l’impresa tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ‘70 si consolidò e acquisì quote di mercato italiane e straniere, sviluppando un prodotto di prezzo molto competitivo orientato a una clientela di grande distribuzione e Grandi Magazzini (Upim in Italia, La Fayette in Francia, Kaufhof in Germania) e di distributori all’ingrosso.
Nella seconda metà degli anni ’70 i costi di produzione -che fino ad allora erano risultati ampiamente favorevoli alla produzione dedicata a quel tipo di clientela- aumentarono notevolmente e di conseguenza costrinsero l’impresa a cambiare strategia produttiva. Fu quindi sostituito il materiale di base con nuovi filati più pregiati ed in particolare con la “lana Merino extra fine” – derivata da una particolare razza di pecore australiane – e da filati contenenti anche cashmere, che è una fibra proveniente dalla tosatura della capra cashmere che è diffusa in tutta l’Asia. Si spostò il target della clientela, cha passò ad un grado più elevato e fu aggiornato lo stile del prodotto, grazie anche all’intervento di nuove mentalità creative che in quel periodo iniziavano ad affermarsi nel tessile italiano con il nome di stilisti.
Negli anni ’80 ci fu un’ulteriore evoluzione: con l’aumentare dei costi di produzione, l’impresa decise di effettuare grandi investimenti nelle nuovissime tecnologie dotandosi in particolare delle nuove macchine per maglieria elettroniche (Jacquard) che permettevano un prodotto assolutamente innovativo, sia nella qualità che nel disegno. Il nuovo prodotto che si creò fu destinato non più alle sopraccitate categorie di clientela, ma si spostò ad una fascia di negozianti che avevano clienti consumatori finali inseriti in un contesto sociale di alto livello. Iniziarono in questo periodo degli accordi di collaborazione e di licenza con importanti stilisti di fama internazionale. Negli anni ’90 furono incrementati i contratti di licenza esclusiva per la produzione e la distribuzione di linee di maglieria per uomo e donna con importanti stilisti di moda. Questi contratti di licenza e la produzione che ne seguì portarono un grande sviluppo all’impresa e le permisero di venire a contatto con i più importanti commercianti del mondo, soprattutto nel Far East, Stati Uniti d’America, Paesi arabi ed europei.
Verso la fine degli anni ’90 vi fu un grande incremento di domanda di maglieria di cashmere puro. Questo spinse il management a decidere di creare una nuova linea di maglieria in cashmere dedicata a tutti quei clienti che avevano testato ed apprezzato la qualità del prodotto durante le collaborazioni esclusive con gli stilisti sopra citati. Per portare al successo questa nuova idea fu necessario creare un insieme di elementi che potessero trovare spazio in un’area del mercato che era già in parte presa d’assalto dalle imprese più qualificate del settore. Fu perciò necessario creare:
- un marchio
- un nuovo prodotto in cashmere
- uno stilismo innovativo
- nuovi impianti produttivi
- una rete distributiva adeguata
Fu cosi creato il marchio “Pashmere” che è un acrostico tra la parola Pashmina e il nome della fibra Cashmere. Questo marchio è il core-business dell’impresa che si affaccia alle nuove sfide del mercato mondiale con sempre maggiori innovazioni di prodotto e di processo le quali permettono semestralmente una produzione di maglieria sempre all’ultima moda per incontrare i gusti sofisticati della clientela internazionale.