Donaldson formula una teoria manageriale dell’impresa che pone in risalto la distinzione tra l’obiettivo della direzione (la massimizzazione del patrimonio aziendale in un arco temporale medio-lungo) e gli obiettivi degli altri gruppi di stakeholders, tra cui i finanziatori, a titolo di proprietà o di credito. La teoria dell’ordine di scelta delinea una strategia di autosufficienza finanziaria, coerente con gli obiettivi manageriali di sopravvivenza e indipendenza.

L’obiettivo del management risponde alle motivazioni di sopravvivenza e salute dell’impresa nel lungo termine e di libertà nel prendere le decisioni strategiche senza subire influenza di soggetti esterni.
Tradotto in termini operativi, l’obiettivo garantirebbe una gestione dell’impresa orientata ad una crescita tale da sostenere la competitività delle combinazioni prodotto-mercato vitali per i flussi di reddito dell’impresa. Il desiderio di autonomia, autosufficienza, controllo dell’investimento strategico, impongono il finanziamento della crescita con fonti di fondi continue, affidabili e libere da restrizioni discrezionali.

Gli utili non distribuiti sono la fonte di fondi sulla quale la direzione ha la migliore informazione possibile e un elevato controllo, mentre le fonti esterne sono caratterizzate da elevati gradi di incertezza in termini di tempi, costi e risorse acquisibili.
Il ruolo dei mercati dei capitali è limitato nel senso che i dirigenti vi ricorrono in presenza di circostanze straordinarie, mentre, in linea generale i finanziatori dell’impresa hanno la tendenza a ritenere le proprie azioni sottovalutate: le aspettative di risultati futuri sembrano migliori per i soggetti interni che hanno la responsabilità di ottenerli, rispetto agli investitori esterni.

In relazione al mercato del credito, si è rilevata la tendenza da parte delle imprese ad adottare una politica di indebitamento conservatrice: l’assunzione di debito entro limiti molto ristretti consente di considerare l’indebitamento un’estensione di fondi generati internamente, quasi una riserva di attività liquide sicure e fuori bilancio, per fronteggiare fabbisogni imprevisti.

Questa strategia di autosufficienza finanziaria, implica un vincolo alla crescita del fabbisogno dal momento che le fonti interne sono limitate nella dimensione e diluite nel tempo.
Sulla base di queste considerazioni Donaldson esprime in termini analitici l’obiettivo di crescita sostenibile, cioè il tasso di crescita delle vendite compatibile con la strategia finanziaria delineata:

g(s) = r[RONA + d(RONA – i)]

con

RONA = Redditività operativa dell’attivo al netto delle poste rettificative del passivo e delle fonti di risorse non onerose;
r = Tasso di ritenzione degli utili;
d = Rapporto di indebitamento mezzi di terzi su mezzi propri;
i = Tasso di interesse atteso sul debito, al netto delle imposte.

L’ipotesi manageriale evidenzia un divario in termini di obiettivi fra proprietà e controllo; non necessariamente l’obiettivo della massimizzazione della ricchezza degli azionisti coincide con l’obiettivo della massimizzazione del patrimonio aziendale.

Nella teoria manageriale, il contrasto tra azionisti e management si risolve a favore dell’obiettivo manageriale come obiettivo superiore rispetto a quello degli altri stockholders: il management è portatore di interessi propri, ma è anche mediatore dell’intera gamma di proprietà di gruppi di interesse e dei gruppi sociali chiave che interagiscono con l’impresa e sono essenziali per la sua sopravvivenza.
Va precisato che la teoria manageriale di Donaldson nasce dall’indagine condotta su un campione di imprese la cui struttura risulta piuttosto variegata: nel campione sono ricompresse sia aziende ad azionariato diffuso, sia aziende a proprietà azionaria concentrata, a carattere familiare; l’ipotesi risulta validamente verificata.

In Italia l’ipotesi manageriale ha trovato supporto empirico in un’indagine condotta da Ravazzi, il quale ha rilevato che nel nostro paese, data la struttura proprietaria concentrata delle imprese, l’ipotesi manageriale si basa non tanto sui conflitti d’interesse tra management ed azionariato diffuso, quanto sul grado di identificazione tra imprese, gruppo di controllo e management e gli azionisti minoritari.
L’indagine ha rilevato gli obiettivi degli azionisti di maggioranza come obiettivo di massima crescita (con il vincolo del reperimento delle risorse attraverso l’autofinanziamento interno); la strumentalità dell’obiettivo di elevata redditività con quello di autonomia finanziaria; una politica conservatrice di indebitamento, che consenta di ridurre la dipendenza della crescita del debito, strumento di politica monetaria restrittiva; una politica dei dividendi rispondente alla duplice esigenza di segnalare al mercato lo stato di salute dell’impresa e le sue prospettive di performance, evitando shock sui mercati finanziari ed infine una maggiore onerosità del ricorso al capitale proprio, rispetto all’indebitamente che giustifica l’atteggiamento del management verso la politica di finanziamento dell’impresa.