Secondo il celeberrimo economista John M. Keynes, "il compito dell'investitore professionale non è quello di prevedere come andrà il mercato, ma di sapere come ci si aspetta che vada secondo l'opinione generale".
Questo assunto vale ancora oggi, quando assistiamo a movimenti dei prezzi dei titoli azionari in controtendenza rispetto all'andamento dei dati di bilancio, come sappiamo diffusi dalle aziende a cadenze periodiche.

Il presupposto secondo il quale il mercato giudica i valori fondamentali delle aziende può infatti venire meno a fronte delle aspettative che gli analisti finanziari e i centri studi delle investment bank hanno nei confronti degli andamenti futuri e delle prospettive dei business monitorati.
Il consensus, ossia la mediana statistica delle previsioni degli analisti, rappresenta un ottimo indicatore di tali aspettative.

Il confronto sui mercati globali avviene non solo tra ciò che ci si attende in termini di EPS - earnings per share - (utili per azione) rispetto alle effettive comunicazioni trimestrali, semestrali o annuali dei Consigli d'Amministrazione, ma perfino sull'impatto che revisioni di precedenti previsioni hanno sull'andamento e la volatilità del singolo titolo o dei titoli di un determinato settore.
Ad esempio l'impatto di comunicazioni positive in termini di dati economici, finanziari, contabili di un'azienda può non essere sufficiente ad incentivare l'andamento positivo del titolo, se il consensus era superiore ai valori poi dichiarati, ma solo se esso era inferiore.

Revisioni al ribasso delle previsioni di utile allo stesso modo non costituiscono certamente un segnale positivo per gli investitori, al contrario di quelle al rialzo.
Un ulteriore aspetto analizzato dagli studi in merito è quello della dispersione delle previsioni degli analisti, le quali possono essere talvolta molto difformi tra loro, e provocare quindi una maggiore incertezza su quella che sarà la performance dell'azienda, con probabili ripercussioni sul livello di volatilità e sul profilo di rischio legato al suo titolo quotato.
Il campo degli studi in merito è ancora molto ampio e in evoluzione.

Recentemente (cfr. Zhang, 2006), è stato notato ancora una volta come un aumento dell'incertezza sulle informazioni disponibili per il mercato produca ripercussioni sulle reazioni degli investitori alle notizie, sia positive che negative, sulle società quotate.
Questo può essere associato anche al deterioramento delle condizioni di credito per le imprese nei confronti del sistema bancario, tema di forte attualità oggi anche per quanto riguarda i "debiti sovrani" degli Stati, in relazione ai credit downgrade emessi dalle società di rating.

In generale non solo sussistono implicazioni legate alle previsioni degli analisti (così come alle revisioni in corso d'opera di dette previsioni) e all'andamento dei titoli, bensì anche la dispersione o diciamo "discordanza" di tali previsioni può influire notevolmente sul giudizio di rischiosità verso un singolo titolo, secondo una correlazione positiva: all'aumento della diversità delle opinioni, aumenterà il profilo di rischio-rendimento e la prospettiva intrinseca di volatilità.

Al contrario, (cfr. Zellweger, Meister, Fueglistaller, 2007) sul mercato svizzero è stato individuato nelle imprese a controllo familiare (così diffuse ancora oggi anche in Italia) una fonte di c.d. "sovrarendimenti" rispetto a quelli garantiti da società apparentemente più contendibili oppure gestite da fondi comuni, e si è giustificata questa ipotesi con la maggior possibilità di precisione e affidabilità delle previsioni, dovuta al più stretto rapporto spesso intercorrente tra gli analisti e il management.

Vega (2006) associa la reazione (earnings surprise) a risultati discordanti dalle previsioni al livello di copertura dei titoli, ossia al grado di diffusione degli stessi nei portafogli dei grandi investitori, individuando nel grado di informazione degli operatori un aspetto rilevante per quantificare l'impatto dei report emessi.
Altri studi (Dische, 2001 e Doukas, McKnight, 2005) evidenziano la possibilità di ricavare strategie di investimento legate proprio a questi temi.

Al termine di questo breve contributo è necessario aprire un dibattito focalizzato sul dato che se le reazioni degli investitori si discostano notevolmente dall'informazione presente sul mercato, vengono individuati bias (tecnicamente, "pregiudizi") spesso dovuti a comportamenti ciclici o comunque ripetuti, di tipo psicologico-comportamentale, giudicati da gran parte della teoria come inefficienti ma pur sempre presenti e proprio in virtù di ciò da valutare per capire i movimenti dei mercati.
Il futuro della ricerca sta proprio nell'associare - con verifiche empiriche attendibili - agli studi sul consensus degli analisti il sempre più vasto campo della c.d. Behavioural Finance (Finanza Comportamentale).

Il Journal of Financial Economics, The Journal of Finance, l'European Financial Management ed infine il Financial Analysts' Journal, ovvero le riviste scientifiche di economia e finanza più prestigiose, si soffermano periodicamente su questi ambiti così nevralgici.

Si rimanda infine ai più importanti information provider, come I/BE/S e Factset, che aggregano nel consensus le previsioni della security industry e lo diffondono sui mercati e, per quanto riguarda l'Italia, al notevole contributo fornito in tal senso da anni dall'AIAF (Associazione Italiana Analisti Finanziari).