Pubblicato su Finanza Italiana gennaio-febbraio 2007

Le fonti cosiddette rinnovabili, tra cui prevalentemente l’energia idroelettrica, contribuiscono appena al 6% della produzione mondiale di energia, contro una copertura del 42% data dal petrolio, del 22% dal gas naturale (comprensivo della geotermica), del 16% dai combustibili solidi (il carbone) e del 14% dal nucleare. Limitatamente all’energia eolica, la produzione mondiale, secondo i dati ENEA, è stata nel 2004, ultimo dato disponibile, di appena 47.000 MW, di cui il 14,0% in Usa e il 72,3% in Europa. In particolare, 35,0% in Germania, quasi il 7% in Danimarca e il 2,7% in Italia (grafico 1). In rapporto alla produzione elettrica totale in Italia, quella eolica è appena l’8 per mille, come risulta dal grafico 2 e dalla tabella 1 allegati.



Ciò non toglie che oggi si parli molto dell’energia eolica e di altri sistemi alternativi, come il fotovoltaico, le biomasse e i rifiuti urbani, i quali, nel loro insieme possono alleviare, ma non sostituire le fonti tradizionali e soprattutto quella del futuro, ossia l’energia atomica.





In seguito alle scelte imposte dai Verdi, la Germania ha installato ben 18 GW (gigawatt. Si ricorda che 1 GW è un miliardo di watt) di potenza eolica e ha contemporaneamente chiuso uno dei suoi reattori nucleari. È così rimasta con 18 GW di potenza nucleare, che costituiscono il 30% dei consumi tedeschi di energia elettrica. Una simile politica di diversificazione della produzione elettrica non considera, però, il fatto che i GW prodotti da un reattore nucleare sono ben diversi dai GW prodotti da fonti eoliche. Un reattore nucleare garantisce, a parità di potenza di una wind farm (una centrale eolica) una costanza di fornitura che l’energia eolica non può garantire. Non si può, infatti, ordinare al vento di soffiare ininterrottamente, e non sono prevedibili i cali di produzione, dati appunto da un calo nell’intensità del vento. Pertanto, una centrale eolica, per poter funzionare a regime e fornire elettricità a grandi utenti in modo continuo e affidabile, deve essere supportata da altri impianti, di tipo tradizionale, che siano efficienti e pronti ad entrare in funzione nell’istante in cui ci sia una caduta a picco della potenza eolica, al fine di evitare quei fastidiosi black out di cui siamo stati di recente spettatori e vittime.

Il fatto che le centrali eoliche debbano essere supportate da impianti di tipo tradizionali smentisce chi considera tali centrali come fonti alternative di energia, in quanto non permettono una totale sostituzione delle fonti tradizionali. È stato calcolato, infatti, che, per garantire ogni margine di sicurezza nella costanza delle forniture e per evitare i black out, 18 GW eolici non consentono di sostituire nemmeno 1 GW di tipo convenzionale. Occorrono, invece, fino a 24 GW eolici, quindi 24.000 turbine eoliche, per sostituire un gigawatt di potenza nucleare. Il paradosso diventa ancora più evidente nel momento in cui si considerano i costi di una simile operazione. Franco Battaglia, in un suo recente articolo comparso su Il Giornale, afferma, infatti, che un impianto eolico di 24 GW di potenza costa circa 24 miliardi di euro. Un impianto di tipo convenzionale tra i più costosi, quello nucleare, che sia capace di produrre un gigawatt di potenza, costa circa 2 miliardi di euro, ossia appena un dodicesimo degli impianti eolici. Il sistema eolico non è, quindi, così come si presenta oggi, economicamente sostenibile. Lo afferma anche Carlo Rubbia, premio Nobel, in una sua recente intervista comparsa sul Corriere della Sera, il quale dice che fonti “alternative” del tipo di quella eolica e di quella fotovoltaica, i cosiddetti «specchi di Archimede», resteranno sempre marginali.

La Danimarca, che concorre per quasi il 7% alla produzione eolica mondiale e copre, con questa fonte, il 13% del suo fabbisogno energetico nazionale, si trova in posizione più avvantaggiata, grazie agli impianti marini, off shore, e alla sua configurazione morfologica, priva com’è di montagne. È, inoltre, esposta per molti mesi all’anno a forti correnti di vento da quasi tutte le direzioni. L’Italia ha una configurazione morfologica notevolmente differente non solo a quella della Danimarca, ma anche di altri paesi europei.

L’Italia, con il suo aspetto morfologico allungato, estremamente montuosa, con la catena delle Alpi e degli Appennini, e al centro dell’area mediterranea, presenta, infatti, ostacoli naturali al flusso del vento. Può contare solo su pochi venti che hanno una buona intensità come il maestrale, la tramontana, lo scirocco e il libeccio, ma che non hanno una lunga durata. Per posizionare una wind farm, on shore, cioè su terra ferma, occorre localizzare un’area che sia priva di ostacoli naturali, e quindi non montuosa, con una pendenza tra i 6 e i 16 gradi, dove il vento superi una velocità di almeno 5.5 metri al secondo e che soffi in modo costante per gran parte dell’anno. Sono oggi presenti oltre 12.000 aerogeneratori concentrati nelle province di Trapani, Foggia, Benevento, Avellino e Potenza che costituiscono il principale polo eolico nazionale. Questi aerogeneratori, però, seppur rispettano i rigori tecnici per il loro corretto funzionamento, di certo non rispettano l’integrità del paesaggio. Infatti, soluzioni che sono esaltate come eco-sostenibili sono, al contrario, paesaggisticamente deturpanti. È sufficiente osservare, a titolo di esempio, la wind farm di Castiglione Messer Marino, in provincia di Chieti, per convincersi definitivamente dell’assoluta mancanza di rispetto per il paesaggio e per l’ambiente che tali sistemi necessariamente impongono.

Un contributo da prendere in considerazione sembra quello fornito dagli aerogeneratori di piccole dimensioni, come nella foto allegata, strumentali alla fornitura di pochi kW, quanti ne possono servire a una casa isolata, una baita, un rifugio alpino, un podere o una fattoria, sempre che non sia possibile un allacciamento alla rete elettrica. Negli altri casi, occorre sempre un impianto tradizionale per sopperire alla mancanza di vento. Inoltre, dal punto di vista paesaggistico, questi piccoli aerogeneratori non sono esteticamente gradevoli e, sotto il profilo ecologico, non sopportano grandi piante nelle vicinanze.






Sono da prendere con una certa cautela le proiezioni di organizzazioni non governative internazionali per gli anni a venire. Ad esempio, nel 2010 la potenza installata degli aerogeneratori si aggirerebbe sui 113.000 MW, contro i 47.000 MW del 2004, per salire a 280.000 MW nel 2020, pari, a quest’ultima data, al 2,7% della produzione elettrica mondiale. Circa i costi, il loro abbassamento, dagli alti valori odierni di circa 1.000 euro per MW, ossia 1 euro per kW, contro 23 centesimi per kW per consumi familiari, sarebbe modesto. Nel 2020, ad esempio, il costo per kW risulterebbe di poco superiore a 70 centesimi di euro per kW e tale si manterrebbe all’incirca per i successivi trent’anni. Da questo e da altri dati si evince che l’energia eolica, come quella fotovoltaica, o da biomasse, ecc., è una fonte particolare, il cui impiego, dati anche gli altri costi, è destinato ad essere molto limitato e soprattutto non appare in grado di dare un contributo determinante al fabbisogno crescente di energia.
L’unica fonte sicura e illimitata rimane quella dell’atomo, ossia l’energia atomica da fissione. Per la tanto sospirata energia atomica da fusione siamo ancora purtroppo in alto mare, non avendo, per ora, possibilità né di sviluppare le alte temperature per la fusione dell’atomo di idrogeno, come avviene nel Sole, né di avere materiali che possano sopportare temperature di alcune migliaia di gradi.