Il paradigma neoclassico dell’economia osserva le migrazioni come una conseguenza dell’incontro tra domanda e offerta nel libero mercato.
Le migrazioni - siano esse interne o internazionali - sono e terminate prevalentemente dall’esistenza, tra i vari paesi e territori, di differenze nella domanda e nell’offerta di lavoro, a loro volta responsabili di differenziali salariali e dei tassi d’occupazione (J.R. Harris, M.P. Todaro 1970).
I lavoratori si sposteranno da zone in cui non c’è offerta di lavoro in zone in cui l’offerta di lavoro eccede la domanda, quantificando razionalmente la maggiore o minore opportunità di spostarsi. Secondo il mito della mano invisibile di Smith, la razionalità dell’individuo si salda a quella del sistema, contribuendo alla perfetta allocazione delle risorse (si presume che ciascun individuo abbia una perfetta conoscenza del mercato del lavoro). Pertanto il progressivo naturale appiattimento dei livelli occupazionali e contributivi renderà sempre meno conveniente la migrazione, conducendo all’esaurimento spontaneo delle migrazioni. Una visione del genere, come possiamo osservare ogni giorno, è del tutto inadatta ad interpretare un fenomeno complesso come quello migratorio attuale.

La teoria neoclassica, pur considerando l’immigrato un agente di cambiamento che favorisce la modernizzazione del proprio paese d’origine, poiché contribuisce alla diminuzione del divario economico tra ambienti “tradizionali” e “moderni”, non sottolinea l’importanza dei fattori socialmente embedded nella scelta di emigrare, né che tale sistema migratorio, inducendo uno spostamento da paesi più poveri ai più ricchi, sottrae risorse umane allo sviluppo. Ammesso che ci sia una situazione d’informazione e razionalità perfette, gli emigranti farebbero in ogni caso le loro scelte in base ad un privato e soggettivo tornaconto.

La sottrazione di agenti che possano operare concretamente un miglioramento delle condizioni di vita del proprio paese contribuisce, a sua volta, alla emigrazione, causando una situazione tutt’altro che di equilibrio. Le migrazioni dunque non tendono all’equilibrio riversando le persone dai paesi più poveri verso i paesi più ricchi, né dai paesi con minore occupazione a paesi a maggiore occupazione.
Questo modello di lettura dei processi migratori risulta a-storico, ovvero, non prende in considerazione le coordinate di tempo e di luogo nelle quali si muovono i processi migratori.

Allo stesso tempo non tiene conto del fatto che le persone che emigrano non sono quasi mai i più poveri, né tenta di spiegare perché alcune comunità scelgono di emigrare ed altre no, pur vivendo nelle stesse o in peggiori condizioni socioeconomiche. L’insoddisfazione riscontrata nell’utilizzo di questo modello ha reso necessaria la messa a punto di altre teorie che tenessero conto della complessa realtà dei fenomeni migratori sottovalutata dalla teoria neoclassica dell’economia.