L'esito delle urne ha fortemente premiato la coalizione di centrodestra. L'entusiasmo per la vittoria, tuttavia, lascerà presto spazio all'apprensione per l'economia italiana che, così come accade per tutto il contesto dell'euro-zona, progredisce ad un ritmo molto lento, vicino allo zero. Le cause di questo fenomeno sono da ascrivere in buona parte all'andamento della produttività del lavoro, la cui crescita in tutta l'Unione europea è molto contenuta, e per l'Italia è estremamente bassa, e allo scarso flusso degli investimenti. È emblematico il fatto che fino a qualche anno fa, quando si effettuavano confronti internazionali, l'Italia veniva paragonata alla Francia, alla Germania e alla Gran Bretagna. Oggi i confronti vengono fatti in rapporto alla Romania e alla Grecia, mentre si è costretti a constatare che per molti aspetti la Spagna sta sperimentando performance economiche migliori delle nostre.
Non è un'economia facile da gestire quella che il governo Berlusconi ha ereditato dal fallimentare programma di sviluppo e di liberalizzazioni del governo precedente. Le imposte sono ai massimi storici, paragonabili solo al livello di imposizione del primo governo Prodi, anch'esso finito dopo appena due anni con un fallimento e con le dimissioni. Il «rischio paese», ovvero quella valutazione che in sede internazionale influenza le scelte di investimento dei capitali esteri, è cresciuto per l'Italia in questi due anni, a causa dell'inaffidabilità del governo Prodi, che nonostante avesse rilasciato le autorizzazioni necessarie per la realizzazione di alcune grandi opere, alle quali concorrevano anche capitali esteri, ne ha di fatto interrotto i lavori. Ha concorso alla rovina dell'immagine dell'Italia all'estero anche la dannosa amministrazione campana che, oltre ad aver danneggiato gravemente il turismo, l'industria agroalimentare locale e l'ambiente, ha fatto sì che l'Italia venga identificata come un paese pieno di spazzatura. Anche lo sconsiderato attivismo delle associazioni locali ha la sua parte di colpa che con l'atteggiamento NIMBY (Not In My Back Yard, «Non nel mio cortile») esso ha impedito la realizzazione di infrastrutture utili alla collettività e ha dimostrato che il governo uscente non aveva sufficiente autorevolezza per influire sulle decisioni in ambito locale. Alla bassa capacità del nostro Paese di produrre reddito si affianca un contesto mondiale molto difficile anche in relazione alla situazione finanziaria internazionale che si è prodotta dopo lo scoppio della bolle speculativa del mercato immobiliare e la crisi dei mutui subprime.
Molti fattori hanno concorso in varia misura al diffondersi di una instabilità globale del mercato finanziario. Fra questi l'abitudine a trasferire il rischio dalle banche al mercato, l'opacità dei bilanci delle banche, il ricorso sconsiderato all'ingegneria finanziaria, che ha prodotto i nuovi strumenti finanziari sempre più complessi. Questi espedienti hanno sedotto anche alcune amministrazioni locali italiane provocando il dilagare dei cosiddetti «derivati». Il diffondersi di una instabilità globale del mercato finanziario, a sua volta, ha causato ripercussioni negative sull'economia reale dei paesi sviluppati e di nuova industrializzazione.
Da più fonti emerge che il problema finanziario oggi non è da considerare alla stregua di una semplice crisi di liquidità, ma risiede soprattutto nella crisi di fiducia che si è instaurata nel sistema creditizio mondiale. È tale sfiducia che, alla fine, si è trasformata in una scarsa liquidità di tutto il sistema. È di difficile determinazione l'effettiva diffusione della cartolarizzazione dei mutui subprime, alla quale la stessa Italia non è rimasta estranea. Ai mutui subprime si aggiungono anche altre forme di prodotti finanziari, che permettono la distribuzione del rischio sul credito trasferendolo dalla banca originaria, che emette i titoli, a terzi e che nascondono insidie non solo per i piccoli risparmiatori, ma anche per gli «addetti ai lavori». La soluzione a questa situazione può in prima analisi essere un incremento della trasparenza dei bilanci delle banche ed un atteggiamento maggiormente incline alla sicurezza che gli istituti di credito dovrebbero assumere nei confronti del rischio. Sono queste le conclusioni a cui è giunto il Financial Stability Forum della scorsa settimana. Allo stesso tempo, però, è facilmente prevedibile che molte banche, tra quelle meno efficienti e che hanno fatto ricorso a una spregiudicata speculazione, siano presto costrette ad uscire dal mercato e a permettere una epurazione del settore creditizio. Sfortunatamente, però, la crisi finanziaria si è tramutata in una crisi dell'economia reale, negli Stati Uniti in prima analisi per via della contrazione del mercato immobiliare e, a causa del suo alto moltiplicatore del reddito, anche a parte dell'economia reale. L'indebolimento che il dollaro subisce per tentare di risanare l'economia americana produce a sua volta effetti negativi nel circuito monetario internazionale. Infatti, tramite l'incremento del prezzo del petrolio e dei generi alimentari, il deprezzamento del biglietto verde si sta tramutando in una inflazione globale, che in Italia sta raggiungendo, secondo i dati ufficiali dell'Istat, il 3,3% annuo, mentre per i prodotti alimentari è pari al 5,5% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.
Le soluzioni da porre in essere in un contesto nazionale e internazionale tanto complesso sono in prima battuta la riduzione dell'imposizione fiscale, il rilancio degli investimenti pubblici improvvidamente interrotti, nonché la riduzione della spesa corrente e degli sprechi della pubblica amministrazione. Non è di scarso rilievo l'intento del leader del PdL di «digitalizzare» tutta la pubblica amministrazione. Solamente attraverso una oculata combinazione tra politiche industriali, di bilancio e fiscali si potrà ridare slancio alla crescita. Tale onere spetta adesso al nuovo governo Berlusconi.

Pubblicato su www.ragionpolitica.it il 19 aprile 2008

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