Nel breve volgere di pochi anni, l’attenzione per le tematiche legate al ruolo delle risorse intangibili con riferimento all’economia delle imprese si è molto acuita e appare in costante crescita. Ormai non si contano più le pubblicazioni di taglio scientifico, manageriale e normativo che, in modo diretto o indiretto, trattano la “questione” degli intangibles. Il “salto di qualità”, avvenuto nella seconda metà degli anni ‘90, è con tutta probabilità largamente da imputare proprio agli sforzi dei teorici e delle imprese di delineare una rappresentazione più completa e “concreta” di tali fattori economici.

Definizione di Asset Intangibili

Il concetto di Capitale Intellettuale, ha subito nel tempo diverse interpretazioni, sovente, gli asset intangibili sono definiti dalla semplice somma del Capitale Umano – conoscenze e competenze possedute dalle persone – e delle Proprietà Intellettuali – marchi registrati, brevetti – di una società, tralasciando, ad esempio, quegli elementi che, per quanto legati al capitale umano posseduto, caratterizzano qualità proprie dell’organizzazione: la cultura aziendale, i processi gestionali ecc.
Nel tentativo di definire la composizione del Capitale Intellettuale, è bene ricordare che il termine asset intangibili non descrive l’insieme di beni immateriali di un’azienda ma, piuttosto, una serie di risorse non facilmente traducibili in termini finanziari, a causa della mancanza di criteri standardizzati per una loro valutazione monetaria.

I “capitali” aziendali

Negli asset intangibili di un’organizzazione possiamo ricondurvi:

il Capitale Umano (human capital), che può essere descritto dalla conoscenza che le persone trattengono alla fine della giornata lavorativa, una conoscenza che possiamo definire tacita o implicita, in quanto non formalizzata. Esso comprende: le conoscenze, le abilità e le esperienze delle persone e può essere strettamente individuale ma anche molto generico;

la Proprietà Intellettuale, che comprende i brevetti, i marchi registrati e i diritti di copyright in possesso dell’azienda. Dei diversi asset che costituiscono il Capitale Intellettuale, questo è probabilmente il meno intangibile, in quanto composto da elementi di norma agevolmente esprimibili in termini monetari;

il Capitale Organizzativo o Strutturale (structural capital), ovvero l’insieme di conoscenze che rimangono all’impresa alla fine della giornata lavorativa: in questo caso, la conoscenza può essere esplicita e, quindi, formalizzata, ma anche semplicemente incorporata nei modi di fare le cose. Esso comprende i documenti prodotti, le procedure utilizzate, i modelli organizzativi, le strategie, la cultura aziendale e i contenuti dei database. Alcuni di questi beni possono divenire di proprietà legale dell’azienda;

il Capitale Relazionale Esterno (relational capital), rappresentato dal valore delle risorse collegate alle relazioni esterne dell’azienda: i rapporti con la clientela, con i fornitori, con i business partner, con i centri di Ricerca & Sviluppo, ecc.
Nell’ambito del Capitale relazionale esterno, al contempo, si può isolare un importante elemento:

il Capitale Sociale (social capital), nel quale possono riscontrarsi tre elementi di base: la fiducia generalizzata prodotta dalla socialità, le interazioni sociali e le istituzioni formali create dalla socialità. Si può parlare di capitale perché le relazioni sociali sono di natura durevole e comportano effetti durevoli e si definisce sociale in quanto le interazioni non sono di mercato, pur producendo effetti economici.

Difficoltà e perplessità

Uno dei principali argomenti alla base dello scetticismo nei riguardi della misurazione e rappresentazione degli intangibles è legato alla soggettività e parzialità delle valutazioni prodotte, in particolare se confrontate con il tradizionale bilancio di esercizio e il suo grado di certezza, verificabilità e facilità interpretativa.

A tale proposito è però fin troppo facile richiamare i recenti clamorosi casi di multinazionali (Enron,Parmalat), in cui il fallimento proprio dei bilanci e delle regole contabili “tradizionali” nel fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico finanziaria ha agevolato il prodursi di tali scandali. In tal senso, è parso evidente ai più che non solo le regole contabili andavano riviste e rese più stringenti, ma che anche il consueto bilancio d’esercizio presenta chiari limiti nella propria capacità rappresentativa, a dispetto della presunta oggettività e verificabilità delle cifre che lo compongono.
La difficoltà riscontrata nel definire, in maniera univoca, la composizione del Capitale Intellettuale sta probabilmente ritardando la determinazione di metriche standard per la sua valutazione, eppure è ormai evidente che nel rendimento di un’impresa il peso degli asset intangibili gioca un ruolo preponderante al pari di quello degli asset fisici e finanziari.

Nell’economia degli anni settanta, il rapporto tra book value e valore di mercato delle cinquecento aziende americane dell’indice Standard&Poor era vicino all’unità; il rapporto odierno è circa sei. Tale discrepanza tra misurazione contabile e valutazione di mercato, non molto dissimile da quella riscontrata nell’attuale sistema borsistico europeo, rende la dimensione dell’influenza assunta dal Capitale Intellettuale nella creazione di valore e svela l’incapacità del tradizionale sistema di accounting economico-finanziario di restituire l’esatta misura del potenziale di un’impresa.

La Valutazione degli Asset Intangibili

Gli asset intangibili rappresentano il patrimonio di conoscenza di un’organizzazione. In un’accezione ampia del concetto di conoscenza, questo patrimonio contiene non solo il know how delle persone ma anche quello proprio dell’impresa, strettamente legato al suo sistema organizzativo, così come tutta una serie di informazioni derivate dalle relazioni interne, che delineano quella che definiamo “cultura aziendale” e dalle relazioni esterne, che tratteggiano i contorni della reputazione dell’azienda nel mercato.

In questo contesto, sono sempre più numerose le aziende impegnate nello sviluppo di strumenti in grado di definire, gestire, monitorare, valutare e comunicare l’importanza assunta dalle proprie risorse - in termini di conoscenze, competenze e relazioni – nel processo di creazione di valore.

Nello sforzo di governare la conoscenza che scaturisce dai processi aziendali, il Knowledge Management, come disciplina di gestione di questi processi resa operativa dagli strumenti a sua disposizione – Document management, Content management, sistemi di Workflow, Mappatura delle competenze, tool di Collaboration – rappresenta una soluzione in grado di trasformare i molteplici dati circolanti nell’impresa in informazioni fruibili, utili alla diffusione interna ed esterna della conoscenza e al supporto dei processi.

L’impresa knowledge based, che considera il proprio Capitale Intellettuale come vera e propria risorsa e ne mette a frutto le potenzialità, è un luogo dove si lavora meglio e in maniera più efficiente, con la possibilità di ottimizzare gli aspetti organizzativi legati alla produttività. Per di più, un’impresa di questo tipo ha maggiori strumenti per cogliere, magari in anticipo, le esigenze della clientela e di innovare continuamente e repentinamente prodotti e servizi, ottenendo un significativo vantaggio competitivo sui propri concorrenti.

La Misurazione degli Asset Intangibili

Nell’ambito di questa ormai diffusa attenzione per gli intangibles, si sta sviluppando un forte interesse a livello italiano e internazionale anche per la misurazione e rappresentazione di tali risorse.

La necessità di interpretare l’andamento del rapporto book to market e di valutare in termini non soltanto economico-finanziari la crescente rilevanza degli asset intangibili, ha destato l’interesse delle principali istituzioni economiche in campo internazionale circa la possibilità di regolamentare la materia; allo stato attuale delle cose, a parte alcune linee guida emesse (Ministero Danese per l’Industria, progetto Meritum), non esistono ancora criteri di valutazione comunemente accettati.

A livello nazionale, in assenza di univoci indirizzi in ambito istituzionale, tra le diverse iniziative è possibile richiamare il Quaderno di studio pubblicato nel Gennaio 2002 dall’AIAF*, nel quale è proposto un modello di “disclosure” del Capitale Intellettuale dell’azienda.
A fronte dell’interesse suscitato dall’economia della conoscenza, istituzioni, enti privati e studiosi hanno individuato alcune nuove metodologie di monitoraggio e contabilizzazione a supporto della valutazione, misurazione, gestione e comunicazione interna ed esterna degli asset intangibili.

Quali strumenti vengono utilizzati?

La costruzione di modelli di valutazione del Capitale Intellettuale ha incontrato, in realtà, il limite rappresentato dalla difficoltà di misurare in termini economici alcuni asset intangibili. Questa impasse ha posto in evidenza la necessità di utilizzare, accanto ai tradizionali criteri economico-finanziari usati per gli asset tangibili, degli indicatori di performance capaci di monitorare, qualificare e quantificare l’apporto degli intangibili nel potenziale d’innovazione, di crescita, di efficienza e di solidità di una organizzazione imprenditoriale.
Nelle moderne strutture aziendali che abbracciano, ormai da tempo, un approccio knowledge-oriented, dando massimo rilievo alle persone in quanto generatrici di conoscenze e quindi di strutture di valore, l’impiego di indici dinamici permette di valutare il processo di generazione di ricchezza, non soltanto in termini di profitti originati dal patrimonio Umano, Organizzativo e Relazionale, ma anche in termini di potenziale di redditività del patrimonio stesso.

Il doppio Bilancio

I risultati riportati nell’applicazione delle nuove metodologie vedono, come naturale strumento di accounting da pubblicarsi in via separata da quello d’esercizio, il Bilancio del Capitale Intellettuale e il Bilancio del Capitale Sociale, con la funzione di evidenziare aspetti diversi da quelli economici e finanziari tradizionalmente presi in considerazione e di comunicare, internamente ed esternamente all’azienda, tali risultati.

La redazione dei due Bilanci, prescindendo dai diversi approcci utilizzati nella valutazione degli intangibles, pone in risalto informazioni fondamentali sulla consistenza dinamica del patrimonio intangibile dell’azienda, sugli obiettivi posti, sulle strategie attuate per la conservazione e l’accrescimento di tale patrimonio e sul rispetto e sui risultati dell’operatività delle strategie.
Il Bilancio del Capitale Intellettuale ha l’intento di sottolineare le tendenze temporali nei processi di costruzione e alimentazione degli asset intellettuali, mostrando la capacità dell’impresa di generare valore in prospettiva; l’obiettivo del Bilancio del Capitale Sociale è invece di evidenziare il senso di responsabilità etica, il patrimonio di valori, le azioni e le strategie messe in atto nella creazione di lavoro e ricchezza, palesandone le ricadute sul contesto economico, sociale ed ambientale in cui agisce l’organizzazione.

I vantaggi per l’azienda e per il personale

L’impatto dei due consuntivi ha una doppia valenza informativa, interna ed esterna.
Da un punto di vista interno all’azienda, oltre alla funzione di monitoraggio delle strategie intraprese, i Bilanci offrono al personale che vi lavora la portata dell’impegno aziendale nella valorizzazione del capitale umano e relazionale: attività di formazione, qualità del management, efficienza dei sistemi gestionali, attenzione e risposta alle aspettative degli stakeholder, rispetto dell’ambiente di lavoro, tutela del territorio ecc.

Da un punto di vista esterno, la funzione informativa è diversa, in virtù della eterogeneità dei destinatari ed infatti: il bilancio del capitale intellettuale mostra il suo valore comunicativo soprattutto nei confronti delle altre imprese, degli azionisti e dei potenziali investitori; il bilancio del capitale sociale, invece, si rivolge a tutta la collettività ed è di forte impatto nelle relazioni con le istituzioni statali e parastatali, confermando un operato oculato e responsabile.
La mancanza di criteri standardizzati per la valutazione dei due Capitali, quello Intellettuale e quello Sociale, rende la redazione dei due Bilanci chiaramente non vincolante, anche se è in aumento il numero delle società che decidono di pubblicare volontariamente i due rendiconti.

Tali modelli mirano ad essere non solo metodi di misurazione, ma anche - e forse soprattutto - innovativi “sistemi di gestione” della complessità aziendale, attraverso i quali il management è in grado di definire meglio e controllare le relazioni che esistono fra tutte le risorse, tangibili ed intangibili, di cui l’azienda detiene il possesso diretto o comunque l’accesso.

Il futuro

Tuttavia, malgrado la notevole pressione e attenzione con riferimento agli intangibili e le numerose sperimentazioni in corso, occorre anche riconoscere che allo stato attuale sia nel mondo degli operatori, sia nella comunità scientifica non esistono algoritmi unanimemente accettati per effettuare la misurazione ed esposizione degli intangibles, anche se numerose sono state le proposte metodologiche volte a tal fine.

Tale situazione frastagliata suggerisce l’avvento a breve termine di una fase evolutiva in cui possano emergere le best practices d’impresa e si arrivi a specificare alcune regole collettive in questo campo, evitando così la dannosa proliferazione di guidelines.

La stessa Commissione europea e le autorità nazionali dovranno verosimilmente sì promuovere la sperimentazione, ma anche la convergenza delle procedure e dei criteri, favorendo ad esempio la diffusione di strumenti analitici come l’“Intellectual Capital Statement” che ha una funzione di maggiore esplicitazione delle risorse intangibili interne all’impresa.

Si tratta quindi di costruire percorsi di convergenza che consentano l’emergere di standard condivisi su questo tema importante, se non decisivo, per la credibilità di tutti coloro che operano con riferimento alle misurazioni e valutazioni aziendali.

Insomma, un rilevante punto di partenza per una sfida “pesante” nel quadro di un’economia sempre più immateriale.

Una sfida concettuale e operativa cui i modelli di misurazione, valutazione e reporting degli intangibili non possono sottrarsi, se si desidera che il passaggio a un nuovo e più esaustivo sistema informativo gestionale d’impresa non si trasformi solo in uno dei tanti slogan manageriali futuribili.

A cura di Antonio Savarese
* Associazione Italiana degli Analisti Finanziari, dal titolo “La comunicazione degli intangibles e dell’intellectual capital: un modello di analisi” (www.aiaf.it)