Alle soglie del 2005 la presenza delle imprese italiane sui mercati esteri rimane ancora prevalentemente legata al tradizionale modello d’interscambio di beni e servizi. Ma per vincere nell’arena competitiva globale le aziende con vocazione transazionale dovranno andare oltre la consueta formula di import/export ed assumere forme di collaborazione più moderne, come accordi e partnership internazionali o intraprendere investimenti diretti esteri e trasferimenti di capacità produttiva: queste forme di internazionalizzazione sono la carta vincente nelle future strategie aziendali, sia per il mantenimento e l’aumento delle quote di mercato, sia per la possibile riduzione dei costi di produzione ed il conseguente miglioramento della competitività.

Perché internazionalizzare?

L’avvio del processo di internazionalizzazione di molte imprese ha coinciso con la saturazione del mercato domestico e l’intensificazione della competizione tra prodotti nazionali. La scelta dell’internazionalizzazione, se talvolta è determinata dal caso e vissuta come un’opportunità di breve periodo, molto più frequentemente rappresenta una necessità per quelle imprese che, in possesso di competenze distintive, vedono restringersi i mercati interni e sono indotte ad ampliare il ventaglio geografico dei mercati per garantirsi lo spazio vitale necessario per continuare ad essere competitive.
Pensiamo alle imprese del settore moda: l’ingresso di combinazioni economiche straniere molto competitive ha profondamente modificato la loro situazione concorrenziale costringendole a rivedere i propri piani strategici. Di fronte a questa ipercompetitività che si è venuta a creare, molti imprenditori si sono trovati di fronte ad una biforcazione evolutiva che poteva portare alla marginalità o alla crescita tramite l’internazionalizzazione, ed hanno “scelto” quest’ultima strada.

Le motivazioni che conducono molti imprenditori a spingersi verso l’esterno non sono quindi ascrivibili solo ad un mero intento speculativo di breve periodo, basato sullo sfruttamento di specifiche situazioni locali ma, al contrario, sono sostenute da un orizzonte temporale ampio, come confermano gli accordi di partenariato conclusi con colleghi locali ed i cospicui investimenti effettuati - ad esempio - in Romania, assieme alla creazione di stabili infrastrutture di servizi (bancarie, assicurative e logistiche).

L’internazionalizzazione non ha solo una finalità economica ma racchiude in sé anche un’importante dimensione organizzativa, sociale e culturale. L’impresa impegnata in questa operazione deve ricostruire “in loco” una rete di relazioni, riproducendo relazioni sociali all’interno dei luoghi di lavoro, con il territorio circostante e con lo stesso territorio d’origine. Ma la sfida più grande sarà quella di andare a creare una cultura del mercato e della competitività e attivare gli stimoli e le motivazioni che spesso non fanno ancora parte del patrimonio di quei Paesi.

Internazionalizzazione: una possibilità per la PMI?

Le aziende di piccole medie dimensioni nel momento in cui decidono di intraprendere il percorso di internazionalizzazione si trovano di fronte vincoli specifici, basti pensare al fattore dimensionale, alle minori risorse manageriali e finanziarie a disposizione: fattori che limitano la capacità di risposta strategica.

Ma la difficoltà legata alla piccola dimensione ha di fatto perso il suo significato con l’emergere di una grande varietà di situazioni che vanno dagli accordi alle reti d’impresa, ai piccoli gruppi, etc. che hanno permesso di superare la logica che vedeva la piccola impresa esclusa dalla possibilità di internazionalizzazione.

In particolare sono molto promettenti gli sviluppi delle reti aziendali: non più imprese singole si affacceranno al di fuori dei confini nazionali ma sistemi di imprese funzionanti in net-working.
La crescita dei rapporti transnazionali a rete, attraverso le catene di fornitura o i sistemi stabili di comunicazione e cooperazione tra imprese è già oggi una realtà importante, e comprende imprese di ogni dimensione. Non vi è dubbio che nei prossimi anni il criterio di sopravvivenza ed eventualmente di espansione sarà connesso proprio alla capacità di integrarsi a rete.
In questa prospettiva cambia il protagonista dei processi di internazionalizzazione: non è più la singola impresa isolata, ma il sistema di produzione nel suo complesso e nelle sue diverse articolazioni.
Ma integrarsi a rete non è poi così semplice: significa conseguire la massa critica necessaria ad operare su mercati più complessi, elaborare relazioni d'interdipendenza tali da poter compiere assieme investimenti consistenti. Significa realizzare, assieme, tutti gli stadi che conducono dal processo di acquisizione delle materie prime alla soddisfazione del bisogno finale del consumatore.

La competizione strategica sui mercati internazionali non deve essere lasciata solo all'abilità delle singole imprese, ma deve coinvolgere tutti gli attori del processo di internazionalizzazione: le imprese, le istituzioni, le banche, i mercati finanziari. Purtroppo invece possiamo constatare che, a fronte di una crescita dell'economia globale, non si è avuta una corrispondente evoluzione delle istituzioni internazionali, le quali avrebbero dovuto sostenerne lo sviluppo.
Soprattutto nella fase attuale possiamo constatare una grande contraddizione tra il ritmo accelerato della mondializzazione e l'inadeguatezza delle istituzioni.

Dobbiamo convincerci di una cosa: la sfida proposta dalla globalizzazione non può essere affrontata con criteri individualistici; è necessario che le istituzione si muovano all’unisono con il sistema produttivo, in quanto una cosa è limitarsi a fare import-export, un’altra è esportare anche l’impresa: in questo caso ci vuole il coordinamento ed una comune collaborazione.

Collaborazione in particolare da parte di chi sui mercati emergenti è stato a lungo assente o presente in misura non adeguata, a partire dalle banche italiane che, nonostante gli sforzi effettuati nei Paesi dell’Est Europa (1), non sono ancora in grado di garantire un’assistenza ed una presenza diretta in aree, come lo stesso Mediterraneo, per non parlare dell’Asia, a differenza dei gruppi bancari stranieri già in grado di offrire servizi agli imprenditori nazionali ed esteri operanti in aree a rischio. I grandi gruppi bancari italiani sono ancora poco presenti in altre aree che risultano invece altamente strategiche, a partire dal Far Est (Cina in testa) ed al più vicino Sud Mediterraneo (in particolare Turchia).
In Russia (2) ed in Cina le imprese italiane stanno esportando in misura massiccia e sull’estensione nella presenza in questi mercati si stanno orientando le imprese italiane con una particolare vocazione all’internazionalizzazione, comprese quelle di piccola e media dimensione. Occorre che, anche da parte degli istituti bancari italiani, si faccia un adeguato sforzo affinché la loro presenza accompagni l’attività estera delle nostre imprese, andando a colmare anche quelle aree all’interno delle quali le banche del nostro Paese risultano quasi totalmente assenti. Il coordinamento con il sistema bancario d’origine diventa, allo stato attuale, una delle condizioni fondamentali per la gestione del business sui mercati internazionali (3).



1) L’Est Europa è un’area che si sta avvicinando sempre più all’Unione Europea, nella quale molti paesi sono confluiti. Il 1° maggio 2004 l'Unione Europea si è allargata a 10 nuovi Stati membri: Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia Lituania, Cipro, Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria.
2) Il gruppo Intesa ha messo a punto, a fine 2002, un investimento in Russia, attraverso l’acquisizione di una banca locale: la filiale è orientata ai servizi alle imprese. Ed è la prima banca italiana operativa in Russia.
3) Sul fronte dell’internazionalizzazione gli altri modelli europei, come quelli francese, tedesco ed inglese, godono di un’esperienza pluriennale a livello complessivo: l’intero Paese si muove all’unisono con il sistema produttivo, compreso il sistema bancario che, al contrario, nella realtà italiani presenza ancora gravi lacune sul fronte del sostegno all’internazionalizzazione delle imprese ed al “Sistema Italia” nel suo complesso.