Il temine ecologia è un neologismo coniato dal biologo tedesco E. Haeckel nel 1866 per indicare una nuova branca della scienza dedita allo studio degli ecosistemi naturali; successivamente, durante il XX secolo, è diventata una delle correnti di pensiero più influenti, conquistando, però, grande notorietà solo negli ultimi decenni, in ragione dell’allarme ambientale. Ben pochi, però, avrebbero immaginato che concetti come il cambiamento climatico o il surriscaldamento globale sarebbero entrati a far parte dei manuali di economia.
Negli ultimi anni la questione del “clima” è diventata oggetto di analisi sia per gli studiosi, che per gli esperti finanziari, che tentano, non solo, di misurare l’impatto sull’economia mondiale, ma anche di predire i vincitori e vinti di questa nuova situazione.
Vi è un consenso scientifico generale sul fatto che la civiltà umana sta provocando, attraverso le emissioni di gas, eventi dalle conseguenze catastrofiche, come l’aumento del livello del mare, la perdita delle coltivazioni, le carestie, la deforestazione e la proliferazione di fenomeni meteorologici estremi (ondate di caldo, tormente ed uragani). Gli esperti dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) affermano che le emissioni mondiali di gas devono decrescere a partire dal 2015 se si vuole mantenere l'aumento della temperatura media del pianeta fra i 2 e i 2,4 gradi centigradi (al di sopra del livello preindustriale), e i paesi sviluppati devono ridurre le emissioni del 30% sotto il livello del 1990 entro il 2020, per arrivare ad un dimezzamento entro il 2050.
Gli europei auspicano che anche gli Stati Uniti e i Paesi in via di sviluppo in crescita rapida (Cina, India, Brasile, etc), che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto (la cui scadenza è nel 2012), si impegnino a riduzioni di emissioni nel quadro di questo nuovo accordo, cosa che questi ultimi rifiutano.
In parallelo a questo dibattito ecologico,si sta dando via ad una riflessione di tipo economico.
Secondo il documento Ipcc, diffuso a Bangkok, stabilizzare le emissioni di gas serra al 2030 avrebbe un costo compreso tra lo 0,2% e il 3% del Pil mondiale, meno dello 0,1% all'anno.
Il rapporto non fornisce una valutazione dei costi derivanti dagli impatti nel caso dell'inattività, che tuttavia il rapporto di Sir Nicholas Stern del governo britannico aveva già indicato pari al 20% lo scorso ottobre 2006.
Il cambiamento climatico implica anche nuove opportunità di “business”: dall’uso e sviluppo di nuove fonti energetiche, alla partecipazione al mercato dell’energia pulita, alla possibilità di stoccare sottoterra il diossido di carbonio (il principale gas serra), fino ad arrivare al miglioramento della reputazione e del posizionamento sul mercato internazionale.
Una soluzione sulla quale tutti concordano è nel dare un prezzo alle emissioni di carbonio; limitare le licenze, e consentire che si possano negoziare questi diritti: tutto ciò permetterebbe, col tempo, una diminuzione delle emissioni, e spingerebbe le industrie verso le energie rinnovabili.
J. P Morgan, elenca tra le imprese favorite per il commercio di emissioni, la FPL e la British Energy; mentre mette in guardia gli investitori sul rischio sopravalorizzazione delle aziende ecologiche: Elige e FRL Group, e raccomanda la vendita dei titoli di EDS Energies Nouvelles; al contrario include Enel ed Edison tra i potenziali beneficiari della gestione della minaccia ambientale.


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