Le autorità cinesi hanno annunciato, martedì, di aver rilevato nelle bottiglie d’acqua Evian un tasso sorprendentemente elevato di batteri; l’informazione era stata filtrata con parsimonia ai giornali locali, ma i vari forum di discussione su internet hanno subito diffuso la notizia, nonostante non sia stata trovato nessun elemento tossico nell’acqua. Immediate le conseguenze: i risultati di un sondaggio cinese su internet hanno confermato che l’86% delle persone interrogate non avrebbe più comprato acqua Evian.
Mentre la notizia continua a rimanere sulle prime pagine dei giornali, molti analisti finanziari sostengono che la Danone potrebbe essere l’ennesima vittima del forte patriottismo economico cinese; anche perché, da circa un anno, l’azienda francese conduce una dura battaglia contro il suo partner cinese Wahaha.
La vicenda prende il via nel 1996, con l’acquisizione del 51% di Wahaha da parte di Carrefour; i problemi nascono solo dieci anni più tardi, quando i proprietari del restante 49% creano una rete parallela di produzione e di distribuzione sotto il nome Wahaha, e rifiutano, ancora oggi, di integrare le loro attività nel partenariato con Danone, causando, in questo modo, una presa di posizione legale da parte della multinazionale francese.
L’azienda europea non sarebbe la prima a pagare il costo del nazionalismo economico cinese; tempo fa infatti, la composizione di uno dei prodotti di bellezza della Procter&Gamble, la marca SK-II, era stata messa sotto accusa dalla stampa cinese, che aveva evidenziato la pericolosità di questi prodotti. Un mese dopo le accuse erano state dichiarate false dal ministro per la salute, ma il danno ormai era stato fatto: la società aveva potuto riaprire solo 19 dei 98 punti vendita creati prima dello scandalo.

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