Azienda pluricentenaria, appartenente da sempre ad una famiglia con radici millenarie, l’Amarelli ha attraversato, ed è stata attraversata, dalla storia della Calabria. Holding familiare ante litteram, tesa alla conduzione dei propri feudi nonché allo sviluppo commerciale dei prodotti relativi, la famiglia intuisce sin dall’inizio che la cultura, considerata nella sua accezione più ampia, costituisce l’unico valido ed immortale fondamento delle proprie iniziative. L’impegno spazia, infatti, dalla partecipazione alle Crociate, intese come missioni di valore e di civiltà (alcuni documenti familiari testimoniamo come uno dei componenti, precisamente Alessandro Amarelli, sia stato un crociato morto in Palestina nel 1103), al contributo per lo sviluppo e la costituzione, nel 1600, di un’importante Università, ovvero quella di Messina, non tralasciando però l’organizzazione sociale di quanti operavano nell’ambito dei feudi familiari152. Intorno al 1500 l’interesse per la liquirizia, pianta che nasce ancora oggi spontaneamente sulla Costa Ionica Calabrese, spinge i Baroni Amarelli alla diffusione di questa preziosa radice presso i mercati globali dell’epoca. Dopo varie e successive trasformazioni, nel 1731 viene fondato l’attuale “concio” Amarelli, alla cui attività fu dato un notevole impulso nel 1800 con il miglioramento dei trasporti marittimi e con i privilegi e le agevolazioni fiscali concesse dai Borbone alle industrie153. Sempre in quell’anno, si ebbe la grande intuizione di trasformare il prodotto, reso conservabile e trasportabile, attraverso un processo di estrazione del succo che si svolgeva in un impianto proto-industriale, il concio appunto. Nascono così le liquirizie, nere, brillanti, seducenti, dal gusto tipico e dalle proprietà miracolose. Intorno al 1840 abbiamo testimonianza della vasta attività di Domenico Amarelli, allargata fino alla allora capitale, Napoli, e dei suoi discendenti, per poi giungere a Nicola Amarelli che, nel 1907, come testimonia la Rivista Agraria di Napoli, ammodernò la lavorazione con due caldaie a vapore, destinate, rispettivamente, a preparare la pasta di radice e ad estrarne il succo, mentre una pompa a motore da 200 atmosfere metteva in azione i torchi idraulici per comprimere di nuovo la pasta e ricavarnealtro liquido.
Nel corso degli anni le difficoltà che l’azienda dovette affrontare furono tante, documentate anche da una petizione inviata al Ministero dell’Industria in cui si metteva l’accento sulle condizioni dell’industria calabrese all’indomani dell’Unità d’Italia. Si giunge poi alla grande crisi del 1929 ed all’arrivo degli Americani, tra il 1935 ed il 19401, che, con una massiccia sottrazione di materia prima alle industrie locali, fecero sì che, poco prima della seconda guerra mondiale, chiudessero quasi tutti i caratteristici “conci” ubicati prevalentemente nel territorio tra Rossano e Corigliano Calabro, i quali non furono più in grado di sostenere l’artificioso rialzo dei prezzi e di contrastare la concorrenza estera dell’epoca. L’Amarelli, invece, in quegli anni decide di tenere testa al colosso statunitense MacForber, vendendo e svendendo proprietà di famiglia ed evitando di licenziare le decine di operai che da generazioni lavoravano nella fabbrica. L’azienda, con tante difficoltà, soprattutto di natura economica, riesce comunque ad apportare una serie inevitabile di innovazioni tecnologiche che non alterarono le peculiarità artigianali del prodotto, con l’obiettivo di incrementare sempre di più l’attività e rimanendo erede pressoché unica di, una tradizione tipica della Regione.
Siamo negli anni della seconda guerra mondiale, periodo che coincide con il blocco della domanda di liquirizia. La guerra finalmente finisce, i consumi riprendono, anzi esplodono, e l’Amarelli si ritrova ad essere l’unica fabbrica di liquirizia in tutta la Calabria, ed una delle poche in tutta Italia. Negli anni ‘60 ritornano i tempi duri, la fabbrica non ha più un’identità precisa e non riesce a compiere quel salto di qualità importante verso una logica imprenditoriale. In quel periodo in Calabria l’Opera Sila156 compra tutto, e propone anche al “concio” Amarelli di vendere le sue proprietà. Don Geppino, all’epoca titolare dell’azienda bicentenaria, decide di non vendere il suo nome, e con varie difficoltà decide di riunire nella vecchia dimora storica gli uffici, la fabbrica e l’abitazione. Da quel momento la casa, lo stabilimento e l’ufficio diventano una cosa sola, una sola anima. Ancora oggi gli uffici dell’Amarelli sono situati nell’antichissima dimora di famiglia, un edificio risalente al 1400, mentre l’attuale facciata è del 1600. La struttura rivela appieno la sua impronta feudale, sembra una costruzione di difesa, quasi una fortezza, al cui interno mostra un imponente corpo di fabbrica circondato da un agglomerato abitativo, costituito dalle case di coloro che operavano nella fabbrica. All’epoca, infatti, si trattava di un luogo non solo di lavoro ma anche di vita, come raccontano gli operai che hanno lavorato e lavorano nello stabilimento da diverse generazioni: nella fabbrica si mangiava, si dormiva, ci si sposava e si avevano figli.
Attualmente il complesso nella sua interezza è purtroppo poco visibile poiché la superstrada ha tagliato in due, con un devastante intervento, questo bell’esempio di organizzazione difensivo-lavorativa, ma la mole del palazzo conserva tuttora il suo fascino. In questo edificio alloggiano ancora la Direzione, gli uffici amministrativi ed un punto vendita, mentre in un’altra ala della stessa struttura è stato allestito, nel 2001, il primo ed unico Museo della Liquirizia del mondo, dedicato a “Giorgio Amarelli”, uno dei principali propulsori di questa iniziativa insieme all’attuale amministratore Pina Amarelli, moglie di Francesco Amarelli, figlio del titolare della fabbrica ormai morto. Pina Amarelli radica la propria identità nel simbolo di questa famiglia, dedicando tutta se stessa per lo sviluppo dell’azienda. Questa donna ha svolto, e svolge tuttora, un ruolo fondamentale per la crescita dello stabilimento: ha lanciato l’impresa a livello internazionale; ha adottato una politica comunicativa basata prevalentemente su una rete fittissima di relazioni, sia in ambito nazionale che internazionale, e su un tipo di comunicazione che ben si coniuga con la storia e l’immagine dell’impresa, al fine di rendere consapevole la clientela della singolarità del prodotto, del passato e delle sue potenzialità. Inoltre, per contrastare la concorrenza, che propone un prodotto di massa con prezzi più accessibili ed una rete di distribuzione più ampia e capillare, ha deciso di puntare su una nicchia di mercato medio-alta, rivolgendosi così ad un target disposto ad acquisire il valore aggiunto della storia, della cultura e dell’artigianalità, tipiche della produzione della Casa Amarelli.