La «Società Anonima Fratelli Macchi - Carrozzeria, Automobili e Ruotificio» nasceva il 19 giugno 1905 a Varese, per iniziativa dei fratelli Giovanni e Giuseppe Macchi; questi erano titolari di una fabbrica artigianale di carrozze fondata a metà del XIX secolo dai loro avi, i fratelli Agostino e Giovanni Macchi. Con l’evolvere dei mezzi di trasporto, all’inizio del nuovo secolo prodotti quali omnibus, carrozze e carri non apparivano più in grado di garantire rassicuranti prospettive per il futuro, e per cercare nuove opportunità i Macchi optarono per l’espansione e la diversificazione delle attività verso settori più promettenti della meccanica: carrozzerie per automobili, tram, ferrovie, ruote in legno per vari impieghi. La necessità di impianti ed organizzazione del lavoro moderni e di stabilimenti più grandi, e quindi di cospicui capitali, spinsero a trasformare l’attività tradizionale in forma di Società anonima, le cui azioni vennero sottoscritte da esponenti del mondo industriale, bancario e d’affari di Milano e Varese, in quel periodo particolarmente dinamico ed intraprendente nell’indirizzare risorse verso settori nuovi, moderni e trainanti dell’economia nazionale.
L’attività più fortunata dei primi anni del nuovo opificio varesino «Sotto ai Campigli» funzionante dal 1907, realizzato dall’ing. Giulio Macchi (fratello di Giovanni e Giuseppe), e dei suoi cento operai, fu quella del ruotificio, soprattutto per cospicue commesse per l’artiglieria trainata dell’esercito. Colpita dalla crisi del settore, l’attività automobilistica non ha invece successo, e spinge alla ricerca di nuovi sbocchi.
Uno di essi giunge accogliendo, dopo qualche tentennamento, la proposta di Carlo Felice Buzio, imprenditore ed inventore dell’epoca pionieristica dell’aviazione, che contatta Giulio Macchi nel 1912 al fine di cercare l’“alleanza” di un’impresa meccanica con cui partecipare ad un concorso indetto dall’esercito per la fornitura di aeroplani militari. Tale concorso riguardava una prima importante commessa per un mezzo dalle grandi potenzialità belliche, come aveva dimostrato il recente impiego in Libia, ed era riservato all’industria nazionale per cercare di affrancarsi dalla dipendenza straniera. Su idea di Buzio e dell’amico Roberto Corsi, la Macchi trova nella francese Nieuport, produttrice di aerei all’avanguardia e già conosciuti ed apprezzati dal Regio Esercito, un alleato desideroso di allargare la propria sfera commerciale e disposto a concedere idiritti di licenza dei suoi aeroplani.
Diversamente dalle aspettative iniziali, la compatibilità della nuova produzione (che comprendeva la cellula ma non il motore dell’aereo) con le tradizionali metodologie gestionali ed impianti non fu elevata, come diversa era la cultura industriale del prodotto: si optò quindi per la creazione di una nuova entità esclusivamente dedita alle lavorazioni aeronautiche dando vita, il primo maggio 1913, alla Società Anonima Nieuport-Macchi, con duecentomila lire di capitale sociale. Nel primo biennio di attività, la produzione per l’esercito andò oltre le esigenze del concorso iniziale, entrando nel patrimonio tecnologico della società grazie all’apporto della Nieuport: 160 unità prodotte, di cui 42 del “Parasol” (primo aeroplano di progettazione Macchi), 623 addetti nel 1915. A radicare definitivamente la produzione aeronautica ci pensa il primo conflitto mondiale, che vede nella Nieuport-Macchi una delle colonne dello sforzo bellico: produce 1807 aeroplani e 731 idrovolanti, circa un sesto dell’intera produzione aeronautica degli anni 1915-18. Un idrovolante austriaco, preda di guerra del 1915, per il quale il ministero ordinò la riproduzione in serie alla Macchi, fece nascere in seno alla società una specialità che fiorirà nei successivi venti anni.
Fu in questo periodo di prosperità che avvenne una prima emancipazione tecnica della Macchi, che alle produzioni su licenza francese aggiunse buone realizzazioni proprie sia di velivoli caccia terrestri che idrovolanti. Sempre alla fine del conflitto, i quattro stabilimenti (Varese-Masnago, Cocquio, Schiranna, Malpensa) insistevano su terreni di complessivi 64.339 mq.
Negli anni difficili della smobilitazione post-bellica (gli addetti della società passarono dai 2825 del 1918 ai 500 dell’immediato dopoguerra) la Nieuport-Macchi andò avanti producendo versioni civili, per turismo e collegamento, degli idrovolanti utilizzati in guerra, che ebbero però scarsa diffusione, e partecipando con successo a molte delle numerose competizioni internazionali dell’epoca (gare di velocità, distanza, altezza), un grande stimolo sportivo che spingeva al perfezionamento delle macchine.
In epoca fascista il programma di riarmo, operato in seguito alla costituzione della Regia Aeronautica nel 1923 (ed in modo più massiccio dai secondi anni trenta) giova alla Macchi sia nella produzione di serie di idrovolanti che di caccia metallici (questi ultimi soprattutto su licenza di altre ditte italiane), sia a quella sperimentale; in quest’ultimo campo la Macchi partecipa, con i suoi idrocorsa, alle edizioni della coppa Schneider (aggiudicata definitivamente agli inglesi nel 1931) con macchine estremamente competitive che saranno alla base dello sviluppo dei suoi futuri caccia, conquistando con l’MC.72 nel 1934 il primato di velocità, tuttora imbattuto, per la categoria: 709 km/h. Se l’esito dei vari concorsi ministeriali concederà solo a partire dal caccia MC.200 (nel 1937) una vasta produzione di serie ad un progetto originale di velivolo leggero Macchi, negli anni venti e trenta hanno maggior successo gli idrovolanti, sia per uso militare (come l’M.41 bis) che civile (il C.94 ed i suoi derivati, utilizzati nei collegamenti interni e nel Mediterraneo dall’Ala Littoria). Questi aeroplani portavano la firma di uno dei più grandi progettisti della storia dell’aviazione italiana, quella dell’ing. Mario Castoldi: entrato in Macchi nel 1922, ne divenne dal 1926 il progettista unico fino alla fine della seconda guerra mondiale.