Nella seconda metà dell’Ottocento il termine Langa non significava che zolla, terra arida ed improduttiva, in cui ancora non si sapeva cosa fossero né i concimi né le macchine; la società era povera, con un tasso altissimo di mortalità infantile; la vita era dura e qualcuno emigrava nell’America del nord, in Argentina o in Brasile, come racconta Nuto Revelli ne Il mondo dei vinti del 1977, una raccolta di duecentosettanta testimonianze di contadini e montanari delle valli del cuneese e delle colline delle Langhe.
Il sogno di tutti continuava ad essere la terra, unica fonte di ricchezza per coloro che si potevano permettere di possederne un appezzamento; anche Luigi Einaudi, futuro economista e presidente della Repubblica dal 1948 al 1955, sul finire dell’Ottocento si indebitò per acquistare a Dogliani, suo paese natale, la cascina di San Giacomo: 15 ettari e una casa padronale in rovina.
In una tal situazione non c’erano che tre alternative per sopravvivere: soccombere come i più, emigrare come tanti, oppure restare per tentare però di sfidare la situazione. Sceglie questa terza via Carlo Miroglio, un giovane con pochi studi che impara i rudimenti della contabilità nella fureria del reggimento bersaglieri, ma che con la sana concretezza ereditata dalla civiltà contadina vuole ribellarsi senza allontanarsi dalla sua terra, le Langhe.
Carlo Miroglio inizia facendo il venditore ambulante, unendo la sua voce a quella dei vari bateur che affollano i tanti mercati della terra di Langa; nei lunghi e lenti spostamenti verso Bra, Castagnole delle Lanze, Casale, San Damiano e talvolta fino ad Asti a 35 km di distanza, Carlo Miroglio è accompagnato da Angela Scarzello, figlia di un piccolo commerciante di tessuti e generi alimentari, che sposa nel 1884. Dopo il matrimonio i due si stabiliscono in un piccolo appartamento ad Alba, dove affittano un magazzino in piazza San Giuseppe da cui partono ogni mattina, sei giorni a settimana, per non rientrare quasi mai prima del tramonto.
La terra e la società sono ancora povere, ma all’inizio del nuovo secolo il terreno inizia a rendere di più grazie alla comparsa dei concimi, tanto che la sola produzione di grano si moltiplica di quasi dieci volte; i contadini possono iniziare a fare affidamento su disponibilità più elevate, e di conseguenza migliorano gli affari anche per i Miroglio tanto da aprire ad Alba un negozio di tessuti nella centralissima piazza del Duomo; non vendono a credito, come era invece abitudine del padre di Angela Scarzello, ma a prezzi talmente contenuti da richiamare clienti anche dai paesi vicini; poco alla volta i Miroglio abbandonano il commercio ambulante.
Nel 1902 Angela Scarzello e Carlo Miroglio vantano già una dozzina di commessi e sei figli, cinque maschi e una femmina. Il primogenito è Giuseppe, ed è ancora poco più che bambino quando la madre lo mette a vendere: per incentivarlo la donna gli promette l’uno per cento sul totale delle vendite realizzate direttamente; in seguito anche lui adotterà lo stesso principio nei confronti del proprio personale.
In questo modo Giuseppe Miroglio impara dalla madre a vendere e dal padre ad acquistare. All’età di sedici anni si accorge però che il metodo di lavoro del padre non è certo il più conveniente per l’azienda: l’uomo compra da troppi fornitori, ed il giovane intuisce che per ottenere un trattamento economico privilegiato e continuare a mantenere i prezzi competitivi è più indicato servirsi da una cerchia ristretta di fornitori; Giuseppe Miroglio ne riduce così drasticamente il numero, passando da sessantadue a dodici (tra questi c’è anche il nome di Marzotto). Le vendite decollano, il negozio è ampliato, ed i Miroglio cominciano a vendere anche all’ingrosso.
Con l’approssimarsi della guerra gli affari subiscono una battuta d’arresto, ma Giuseppe Miroglio non si scoraggia. Dando prova di intuito e di lungimiranza, che saranno poi alla base della sua fortuna, si reca a Torino dal commissario incaricato dell’acquisto rapido di generi per l’esercito e torna ad Alba con una prima e sostanziosa committenza: centomila camicie a 4,10 Lire l’una e cinquantamila mutande a 3,60 Lire l’una, per realizzare le quali affitta un cinema adattandolo a laboratorio di confezioni. Archiviato il conflitto, le vendite salgono di nuovo alle stelle. Nel 1920, travolti dal boom, i Miroglio stipano il magazzino di un quantitativo ditessuti superiore di almeno tre volte il normale rifornimento: si tratta di un’annata ottima per il commercio perché la società per dimenticare la guerra acquista con molta facilità. Nel 1921 Giuseppe Miroglio sposa Elena Viglino, figlia di una famiglia di avvocati il cui padre è stato sindaco di Alba e di Bra. Tuttavia la crisi incombe: nel 1921 il governo impone un calmiere dei prezzi con ilrisultato che per sei mesi commercianti ed industriali non riescono più vendere quasi nulla nonostante i ribassi del 30-40 per cento. Una domenica d’autunno, nel corso di un consiglio di famiglia, i Miroglio mettono a punto una strategia che si rivelerà vincente: aprire una serie di nuovi punti vendita in altre città per smerciare l’eccesso di tessuti stipati in magazzino. Giuseppe Miroglio, con l’ausilio dei fratelli Battista e Giovanni, continua a gestire l’esercizio di Alba, al quale affianca presto un negozio a Nizza Monferrato; Cesare Miroglio apre una filiale a Genova, ed il fratello Leone una a Cuneo. La prima mossa consiste nel promuovere grandi liquidazioni con merce dai prezzi ridotti della metà, così da guadagnare poco ma vendere grandi quantitativi. A fine anno il bilancio viene chiuso in pareggio. Nel 1929 la società di famiglia si scioglie e i fratelli si dividono definitivamente.
A partire da questo momento la storia dei Miroglio diventa la storia di Giuseppe Miroglio, che sarà capace di trasformare un’azienda commerciale in una vera e propria impresa industriale, destinata a diventare uno dei gruppi tessili-abbigliamento tra i più importanti d’Europa.