Vernon (1966) e Hirsch (1967) rielaborano la teoria di Posner attraverso la nozione di “ciclo di vita del prodotto”.

Hirsch in particolare sottolinea come col tempo la tecnologia di produzione di un nuovo bene si vada progressivamente standardizzando e come questo comporti delle modificazioni nelle intensità e nella qualità dei fattori impiegati nella sua produzione. Nella sua fase iniziale di produzione e sviluppo il prodotto nuovo richiede tecniche ad alta intensità di lavoro qualificato, ma, mano a mano che aumenta la scala produttiva, alle imprese conviene utilizzare macchinari specializzati, capaci di abbreviare al massimo i tempi di produzione. Quando poi il prodotto è maturo e le tecnologie standardizzate, diviene particolarmente importante la disponibilità di lavoro non qualificato.

Possiamo allora dire che Hirsch si muove ancora nella logica di un modello alla Heckscher-Ohlin, sia pure allargato a più fattori e dinamicizzato.
Vernon giunge a conclusioni molto simili partendo però da ipotesi diverse. Nel suo modello egli, come Hirsch, assume siano tre le fasi attraverso le quali si può riassumere la vita di un prodotto, ma nell’esaminarle si sofferma sulle caratteristiche della domanda piuttosto che su quelle dell’offerta.

L’ipotesi di base è che, pur essendoci eguali possibilità per le imprese dei paesi sviluppati di accedere alla conoscenza scientifica, non si abbiano eguali probabilità che tali principi vengano applicati nell’elaborazione di nuovi prodotti e che fondamentale sia il ruolo del mercato interno: esso funge non solo da stimolo per l’impresa innovatrice, ma anche da localizzazione preferita per il processo produttivo.
In altri termini, come osserva Vernon, “vi è ragione di credere che la conoscenza delle opportunità e la rapidità nel coglierne le implicazioni, siano funzione della facilità di comunicazione e che, a sua volta, questa sia funzione della distanza geografica”.