Il “Residual Income Valuation Model” di Feltham-Ohlson è molto popolare in letteratura. Partendo dalla struttura tipica del “Dividend Discounting Model”, il presente modello esprime il valore di una azione come la somma tra il book value corrente e il valore attuale degli abnormal earnings attesi, definiti come gli utili attesi al netto del capital charge (cioè, il book value atteso scontato ad un tasso, r, che esprime il costo del capitale proprio).
Tale modello, come si può notare, permette di stabilire una relazione tra il valore di mercato di una azienda e le informazioni contabili.
Il modello di Feltham-Ohlson poggia su assunzioni di base molto restrittive.

1) La prima di queste, riguarda la relazione tra il prezzo di una azione e i dividendi attesi: in particolare, secondo il modello oggetto di analisi, il valore di mercato di una azienda è dato dal valore attuale dei dividendi attesi (Present Value of Expected Dividends, PVED), scontato ad un tasso che esprime il free-risk rate.

2) La seconda assunzione di base è nota come “clean surplus relation”, secondo la quale il book value dell’anno t è uguale al book value dell’anno precedente (t-1) più gli utili al netto dei dividendi e di eventuali aumenti di capitale. Secondo i due studiosi, quindi, i dati contabili e i dividendi soddisfano tale relazione; ciò significa che i dividendi riducono il book value, ma non influiscono sull’ammontare degli utili.

3) La terza assunzione, infine, prevede che il valore di una azione sia influenzato dalla struttura della serie storica degli abnormal earnings attesi e che, più in particolare, vi sia una relazione lineare tra queste due grandezze.

Date queste assunzioni di base, il modello di Feltham-Ohlson stabilisce che, siccome il PVED e la “clean surplus relation” implicano che il valore di mercato di una azienda è uguale al book value più il valore attuale degli abnormal earnings attesi, la valutazione può allora focalizzarsi sulle previsioni degli utili futuri piuttosto che sulle previsioni dei dividendi. Per poter effettuare tali previsioni, la dinamica sottostante il modello specifica che gli abnormal earnings attesi al tempo t+1 sono correlati linearmente a quelli conseguiti al tempo t, più una correzione per una variabile scalare, la quale rappresenta l’“informazione ulteriore” rispetto ai dati contabili e ai dividendi: tale variabile soddisfa un regolare processo autoregressivo. Questa condizione, unita con la “clean surplus relation”, assicura che tutti gli eventi e le informazioni che hanno un influenza sul valore saranno assorbiti dagli earnings e dai book values correnti e futuri. In sostanza, queste considerazioni portano ad una valutazione lineare del goodwill, nel senso che il valore di una azienda è dato dal book value più una funzione lineare degli utili in eccesso correnti e una variabile scalare che esprime l’ulteriore informazione. Tuttavia, se si considera che gli abnormal earnings correnti determinano il goodwill, se e solo se, gli utili stessi soddisfano un processo autoregressivo, allora si può eliminare la variabile scalare e il valore di una azienda viene così dato dalla media ponderata degli utili correnti capitalizzati meno i dividendi correnti, più il book value.

Il Residual Income Valuation Model, in pratica, esprime il valore di una azienda in termini di risultati contabili correnti e attesi, mentre il Dividend Discounting Model esprime tale valore in termini di dividendi e cash flow netti attesi; inoltre, va considerato che gli abnormal earnings, come si è accennato in precedenza, riflettono la disponibilità di altre informazioni. Questa caratteristica facilita l’uso delle previsioni degli analisti nelle applicazioni empiriche del modello di Feltham-Ohlson e rende più semplice e pratico l’utilizzo di quest’ultimo rispetto all’impiego del Dividend Discounting Model. A tal proposito, alcuni studiosi hanno comparato i due suddetti modelli concludendo proprio che “alcune considerazioni come, per esempio, la disponibilità delle previsioni degli analisti finanziari, rendono l’implementazione del modello di Feltham-Ohlson più semplice di quella del Dividend Discounting Model.

L’“illusione” relativa alla semplicità e alla sicurezza con cui si può implementare il modello di Feltham-Ohlson, viene poi accresciuta dalla già citata ipotesi della “clean surpuls relation”. Sulla base di questa assunzione, infatti, i due studiosi possono affermare che una azienda può essere valutata direttamente impiegando le previsioni circa gli abnormal earnings, piuttosto che affidarsi ai cash flow netti derivati dai financial statements; in sostanza, seguendo questa impostazione, gli abnormal earnings attesi sono dati dalla differenza tra le previsioni (degli analisti finanziari) relative agli utili futuri e un “capital charge”, dato dalla differenza tra gli utili attesi nel periodo successivo e il book value dello stesso periodo, scontato ad un tasso che esprime il costo-opportunità del capitale proprio.

Date queste condizioni, il modello di Feltham-Ohlson permette di affermare che il prezzo di una azione al tempo t è dato dalla seguente formula:

Pt = BVt + Sk = 1 to ¥ Et[Xt+k – r*BVt+k-1]

dove BVt è il book value al tempo t, Et [.] è il fattore che permette di considerare le attese basate sull’informazione disponibile al tempo t, Xt+k sono gli utili attesi al tempo t+k e r è il tasso di sconto applicabile agli equity earnings.

Come si può notare, tale equazione esprime il prezzo in termini di book values e abnormal earnings attesi e, tali attese, hanno lo stesso contenuto informativo delle previsioni dei dividendi, le quali, a loro volta, sono implicitamente contenute nelle previsioni degli analisti circa gli utili futuri. In altre parole, il Residual Income Valuation Model è una trasformazione del Dividend Discounting Model.

Tra i sostenitori del modello di Feltham-Ohlson si può annoverare V. Bernard, il quale afferma che la semplicità di applicazione di tale modello deriva, tra le altre cose, dal fatto che esso gode di una importante proprietà: la scelta dell’accounting method non influisce sull’implementazione del modello stesso. Bernard spiega la suddetta affermazione sottolineando che, nel caso in cui una azienda impieghi delle politiche di aggressive accounting, il suo book value e i suoi earnings correnti saranno relativamente elevati ma, allo stesso tempo, le attese circa gli utili futuri saranno più basse; quindi, i più bassi abnormal earnings futuri attesi compensano le conseguenze dell’utilizzo dell’aggressive accounting (che, invece, si riflettono immediatamente negli utili correnti). La considerazione di Bernard, viene criticata in letteratura per almeno tre motivi.

Innanzitutto, essa rende il modello di Feltham-Ohlson privo di un contenuto contabile. Il contenuto contabile viene a mancare proprio perché il modello non offre nessuna indicazione circa la scelta dell’accounting method o circa le proprietà dei principi contabili impiegati. La seconda ragione, invece, è rappresentata dal fatto che dal punto di vista pratico, anche se il decremento degli abnormal earnings futuri compensa l’effetto dell’impiego delle tecniche di aggressive accounting, un analista deve per forza prevedere gli abnormal earnings attesi attraverso una loro scomposizione in due parti: una prima componente che esprima l’effetto dell’utilizzo di un aggressive accounting method e un secondo fattore che, invece, esprima i rimanenti utili “regolari”. Tutto ciò, chiaramente, rende più laborioso e complicato il compito dell’analista stesso. Infine, la terza conseguenza dell’affermazione di Bernard è rappresentata dalla considerazione che l’interpretazione degli abnormal earnings appare “offuscata”; infatti, alcuni ricercatori interpretano gli abnormal earnings attesi come stime dei “redditi economici futuri”. Tuttavia, la scelta degli accounting methods influenza meccanicamente le stime degli abnormal earnings stessi e, pertanto, tali stime non possono essere considerate come degli indici attendibili dei redditi economici.

Nonostante tali debolezze e, nonostante le critiche che il modello oggetto di analisi ha ricevuto in letteratura a causa della eccessiva restrittività delle sue assunzioni di base, esso viene però frequentemente utilizzato dai ricercatori come punto di riferimento per particolari analisi: un esempio dell’utilità empirica del modello di Feltham-Ohlson è rappresentato dal suo utilizzo per la stima del costo del capitale di rischio. Al riguardo, l’interesse per questo particolare ambito di ricerca è duplice: da una parte, esso è motivato dall’acceso dibattito che è in corso tra i ricercatori circa la magnitudine del risk premium e le sue eventuali variazioni in seguito al cambiamento della rischiosità dell’ambiente economico e, dall’altra, invece, un’ulteriore motivazione verso questo particolare campo della ricerca deriva dal fatto che, siccome le stime della sensibilità dei prezzi ai fattori che impattano sul rischio sono, come è noto, abbastanza distorte, la stima del costo dell’equity appare piuttosto imprecisa.

Gli studiosi, in particolare, utilizzano il modello di Feltham-Ohlson per incrementare l’attendibilità della stima del costo dell’equity ottenuta attraverso l’impiego di metodi tradizionalmente utilizzati nell’ambito della finance: l’approccio empirico seguito è piuttosto immediato. In pratica, i ricercatori utilizzano l’informazione inclusa nelle previsioni degli analisti e nei prezzi correnti, piuttosto che quella implicitamente inclusa nelle serie storiche dei prezzi dei titoli, per la stima del suddetto tasso di sconto (il costo-opportunità del capitale di rischio); per questo, basandosi sul concetto di valore di un’azione teorizzato da Feltham-Ohlson, gli studiosi identificano il costo dell’equity come il tasso di sconto che eguaglia il prezzo di un titolo al suo valore fondamentale, a sua volta dato dalla somma tra il book value e il valore attuale del flusso dei residual income. Un analogo approccio può essere utilizzato per derivare il tasso di sconto sulla base della disponibilità delle attese circa i dividendi futuri; siccome, infatti, l’informazione utilizzata nel Residual Income Valuation Model è praticamente identica a quella impiegata nel Dividend Discounting Model, il tasso di sconto derivato dal secondo modello sarà, chiaramente, lo stesso di quello ottenuto attraverso l’impiego del primo modello. Tuttavia, in letteratura, la maggior parte degli studiosi converge nel ritenere che la stima del costo dell’equity ottenuta attraverso l’impiego del Residual Income Valuation Model sia più attendibile di quella alternativamente ottenuta utilizzando il Dividend Discounting Model, in quanto “l’approccio basato sugli abnormal earnings poggia sulla disponibilità dell’“informazione ulteriore”, la quale permette di focalizzarsi sulla stima dei tassi di crescita degli abnormal earnings, piuttosto che solo su quella dei dividendi”.

Concludendo il discorso sulle caratteristiche del modello di Feltham-Ohlson, va comunque sottolineato che, nonostante esso non possa essere esente da critiche, soprattutto relative alla restrittività e alla discutibilità delle sue ipotesi di base, si tratta di un modello che permette di derivare il valore di una azienda facendo leva sulle informazioni contabili e, per questo motivo, risulta particolarmente utile per gli studiosi di accounting theory.