Secondo questa teoria è la penetrazione capitalistica nelle aree periferiche del mondo ad essere responsabile dei flussi di persone che si dirigono dai paesi poveri verso i paesi ricchi. All’interno di questa teoria si riconoscono due visioni distinte.

La visione dei teorici della modernizzazione secondo la quale l’avvento delle grandi imprese internazionali e dei processi di modernizzazione da loro avviati avrebbe ridimensionato i caratteri ascritti dei singoli individui, per intenderci quelli che legano gli individui di alcuni paesi a ceti, classi sociali o addirittura a caste chiuse, favorendone l’uguaglianza. Il mercato avrebbe stabilito un contratto tra liberi ed uguali. Un’uguaglianza ed una libertà, sostenute dal principio di ragione e poste in essere dal valore di scambio e nelle forme giuridiche dello stato quale espressione formale del diritto dei soggetti liberi e uguali. Inoltre, il contatto con paesi più evoluti avrebbe innescato un fattore di stimolo alla modernizzazione degli ordinamenti culturali e delle strutture sociali (Lerner, 1958).

A questa visione della modernizzazione si contrappone la visione dei teorici della dipendenza secondo i quali la penetrazione dei modelli capitalistici anziché ridurre le disuguaglianze finisce per accentuarle, perpetuando un modello di colonialismo economico. Nonostante siano stati formalmente recisi i legami di sottomissione politica, i paesi colonizzatori non si sono preoccupati, all’indomani delle proclamate indipendenze, di favorire l’autonomia delle ex colonie almeno in alcuni settori chiave per lo sviluppo. Si può anzi affermare che siano stati volutamente mantenuti legami di dipendenza. Così i processi di sviluppo di questi paesi rendono indispensabili tecnologie produttive e prodotti importati dai paesi avanzati relegando i PVS al ruolo di ottimi fornitori di risorse naturali a basso costo e nel contempo ad acquirenti obbligati dei prodotti finiti.

A tal proposito appare più che giustificata l’affermazione di A.G. Frank (1969) quando sostiene che anziché innestare processi di diffusione dello sviluppo, l’incremento dei contatti con i paesi sviluppati ha avuto l’effetto di “ Sviluppare il sottosviluppo”. Id enaro diventa indispensabile, non si è più in grado di produrre ciò di cui si vive, la “legalità” ed i diritti di proprietà ed usufrutto acquisiti dalle grandi multinazionali rendono le popolazioni indigene ospiti nella loro terra. Si ritrovano a non poter sfruttare più le risorse da loro sempre usate.
L’introduzione e l’omaggio iniziale di determinati prodotti alimentari (ad es. latte in polvere) e chimici (ad es. pesticidi) modificano inevitabilmente gli usi di tali popolazioni rendendoli sempre più dipendenti dalle produzioni estere.

Piuttosto singolare è la critica alla visione della dipendenza, avanzata da Adler (1977), basata sul caso dei rapporti tra Francia ed Algeria: Adler costata che l’Algeria è riuscita ad inviare in Francia lavoratori a condizioni vantaggiose, a sfruttare gli introiti derivanti da tale immigrazione per lo sviluppo delle loro industrie senza alimentare in alcun modo la sua dipendenza nei confronti della Francia. Lo studioso, inoltre, afferma che dall’immigrazione i primi a trarre vantaggio sono i paesi ricchi poiché i paesi d’esodo guadagnano poco dall’esportazione della propria forza lavoro all’estero. Fin qui nulla di nuovo, ma Adler continua affermando che i paesi d’emigrazione potrebbero migliorare le loro condizioni facendo leva sulla loro indispensabilità per i paesi industrializzati, ai quali necessita maggiormente l’immigrazione. Per far valere le proprie richieste i paesi d’esodo potrebbero semplicemente minacciare di bloccare il rifornimento di forza lavoro. Purtroppo Adler non sa spiegare però perché tutti i paesi d’esodo non si organizzano insieme per sfruttare questo “forte” potere contrattuale. La minaccia di bloccare il rifornimento di forza lavoro è un’arma spuntata che i paesi d’esodo sono in pratica nell’impossibilità di usare sia perché non sono in grado di controllare i propri emigranti (Tapinos, 1974) sia perché una volta entrati nel meccanismo dell’emigrazione, colmando i propri deficit di bilancio con le rimesse, è difficile tornare indietro (Mihailovic, 1977). Sempre nella teoria del sistema mondo possono essere collocate le affermazioni di Gallais Hamonno (1977) e Sasson (1977).

Secondo i due autori, causa dei flussi migratori è la trasformazione della tradizionale divisione internazionale del lavoro, legata alla teoria del ciclo vitale del prodotto (Aliboni) 1977; Conti, 1975): secondo questa teoria le produzioni fondate sull’innovazione tecnologica nascono nei paesi industriali avanzati e vi permangono finché, una volta standardizzati i processi, sono esportate nei paesi meno industrializzati.

La nuova divisione internazionale del lavoro dei paesi avanzati (gli autori parlano specificamente dell’Europa), causata dall’ampia disponibilità di manodopera straniera poco o nulla qualificata, ha ridotto l’esigenza di decentrare le produzioni meno innovative e standardizzate nei paesi poco sviluppati, causando di conseguenza un incremento dei flussi migratori. Non possiamo, però, non ignorare i cambiamenti in atto in questi anni, che producono un’altra revisione della divisione internazionale del lavoro, provocato dall’offshoring, cioè la dislocazione all’estero anche dei lavori del terziario, tradizionalmente riservati agli autoctoni; un cambiamento destinato a far mutare la convinzione che i lavori ad alta qualificazione siano destinati esclusivamente agli autoctoni, quando si possono tranquillamente delocalizzare in Asia, nei paesi dell’Europa dell’est e nei paesi ex comunisti, dove il livello di scolarizzazione si è allineato oramai a quello dei paesi occidentali.

Quando sono invece le aziende multinazionali a impiantare le loro strutture produttive nei PVS, si limitano a sfruttare il basso costo del lavoro, privilegiando il lavoro delle donne e dei bambini perché ancora più conveniente, contribuendo così alla dissoluzione dei ruoli della famiglia. Infine l’importazione della tecnologia rende superflui un alto numero di braccianti che vengono sostituiti da macchine. Effetto di tali processi è quello di alimentare il desiderio di migrare; ancora una volta, come nella teoria del mercato duale del lavoro, le migrazioni sono una componente strutturale della logica capitalistica.