La povertà è strettamente legata alle disuguaglianze e all’esclusione sociale.

Le statistiche sulla povertà colgono solo la dimensione del reddito e del consumo, non tengono conto delle capacità dell’individuo di rapportarsi e di agire nel contesto sociale ed economico che sono un altro importante indicatore della povertà.
Indipendentemente dalla definizione di povertà adottata e dagli indicatori utilizzati, l’incidenza della povertà è più elevata tra le donne.
Soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sulle donne grava in misura sproporzionata il lavoro non remunerato (cure familiari, approvvigionamento di acqua, cibo, carburante), tale da limitare lo svolgimento di attività retribuite. Ciò si combina con discriminazioni nell’accesso a fattori produttivi, strumenti di lavoro, istruzione e salute, nonché al sistema finanziario.

Nelle nazioni industrializzate si è assistito a una lenta evoluzione dello schema familiare tradizionale basato su di una netta attribuzione di ruoli (la cura dei figli e degli anziani alle donne e la produzione del reddito agli uomini ) e sulla dipendenza sociale ed economica della donna dal marito. Nonostante questi cambiamenti, persistono tuttavia barriere silenti nelle dinamiche occupazionali e sociali. Le responsabilità familiari continuano a ricadere sulle donne anche quando lavorano, le difficoltà di conciliare famiglia e lavoro sono aggravate da reti di protezione e servizi insufficienti o addirittura assenti.
Gli economisti sono concordi nel ritenere che la prima via per ridurre la povertà è favorire la crescita economica . L’esperienza sul campo e molti studi empirici mostrano che intervenire sulle disparità di genere e portare più donne nel mondo del lavoro ha un rendimento elevato in termini di sviluppo. Ciò vale per tutti i paesi, economicamente avanzati e non, ma naturalmente è strategico per quelli con un’elevata incidenza della povertà.

Ci sono molti motivi alla base della relazione più donne lavoratrici - più crescita.
Una prima ragione è che una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro e delle imprese ha un effetto diretto sul prodotto. Avere più donne nel mondo del lavoro ha effetti positivi sul benessere familiare, sulla massa fiscale e previdenziale, sulla domanda di servizi; si innesta un circolo virtuoso che genera nuova occupazione e nuova imprenditoria e quindi ulteriore crescita economica.
Investire sulle donne riduce la povertà non solo delle donne stesse, aumentandone la capacità reddituale, ma migliora anche le condizioni di vita delle loro famiglie, particolarmente dei loro figli.

Un numero notevole di studi mostra che quando le madri hanno un maggior controllo sul reddito familiare, una quota più alta viene destinata all’alimentazione, alla salute e all’istruzione dei figli.
Un’ ulteriore ragione per investire sulle donne e ridurre la povertà risiede nel fatto che l’accesso al sistema economico modifica la cultura e i ruoli all’interno della famiglia migliorando le opportunità delle bambine e delle donne che verranno.

Nonostante i progressi conseguiti, anche nell’istruzione terziaria le donne continuano ad avere, a parità di studi, percorsi di carriera diversi da quelli degli uomini.
Nei paesi avanzati, la piena uguaglianza formale tra uomini e donne è stata acquisita, anche se sono ancora poche le donne ai vertici nella politica, nelle istituzioni, nelle imprese. In molti paesi in via di sviluppo permangono ostacoli legislativi alla partecipazione delle donne all’attività economica. La facilitazione all’accesso ai servizi finanziari si è dimostrata un percorso utile per sconfiggere la povertà.
Promuovere la presenza femminile nelle professioni tecnico-scientifiche non deve tuttavia trasmettere il messaggio che quelle dove tradizionalmente si sono indirizzate le donne abbiano meno valore.
Quali sono i possibili interventi per accelerare il processo?
È possibile che occorrano politiche di pari opportunità più incisive per far emergere le capacità delle donne e scardinare i pregiudizi.

Coinvolgere le donne è non solo giusto ma anche proficuo. I margini di miglioramento e le capacità inutilizzate di una parte considerevole dell’umanità sono così ampi che non siamo di fronte ad un trade-off tra equità ed efficienza, ma ad una convergenza tra i due principi. È un’occasione che non può essere persa, per ridurre la povertà, incentivare la crescita economica, accrescere il benessere di tutti.