Richardson sostiene che si può parlare di commercio internazionale solo quando la maggioranza del valore aggiunto del servizio scambiato internazionalmente è prodotta da un “non residente” rispetto al Paese in cui il servizio è consumato. Più semplicemente ciò vuol dire che se un servizio non può essere prodotto in una nazione e venduto in un’altra, non è commerciabile internazionalmente.

L’autore propone poi un’interessante riflessione: pochi sono i servizi (e l’intermediazione commerciale non rientra, ovviamente, in questi pochi) la cui competizione si basa unicamente sul prezzo unitario di vendita. Nella scelta del fornitore di servizi conta molto la qualità percepita dal consumatore potenziale. Diverse sono le ragioni di ciò: in primo luogo, i consumatori hanno un’imperfetta conoscenza dei servizi offerti dai vari fornitori e sono, per tale motivo, predisposti a relazioni di lungo periodo con l’attuale fornitore considerando rischioso e costoso un eventuale cambiamento. In secondo luogo, il vero valore di un servizio può dipendere dall’interazione diretta tra produttore e consumatore.

Per quanto riguarda invece le diverse forme di internazionalizzazione nei diversi settori dei servizi, Richardson distingue diverse forme rese necessarie dalle caratteristiche di queste attività:
· Commerciabilità attraverso le frontiere (across the border);
· Commerciabilità con una base locale;
· Internazionalizzazione con mobilità del fattore lavoro;
· Internazionalizzazione con investimenti esteri diretti (IDE).

Le ultime due forme sono imprescindibili quando i servizi sono “non commercializzabili” ovvero non possono essere forniti attraverso un mezzo ben preciso (ad esempio il trasporto con autotreno, il progetto di un impianto come un file di internet ecc…) e quindi si rende necessaria o una trasferibilità del personale oppure l’investimento diretto all’estero (ad esempio attraverso una propria filiale o consociata ). Come si nota dalla figura 5, ogni servizio può ricadere in una o più caselle; nella realtà, tuttavia, sono particolarmente diffuse le forme intermedie, ove parte del servizio è organizzato e prodotto nel Paese esportatore, ma richiede una struttura stabile nel paese che lo utilizza. Questo è quello che accade prevalentemente nella imprese commerciali le quali, preferiscono organizzare gli aspetti prevalenti della gestione in maniera centralizzata e poi affidare le scelte operative (dette anche scelte tattiche) alle varie sedi presenti nei diversi Paesi nei quali si opera.
Il risultato dell’analisi proposta elaborata da Richardson varia non solo da settore a settore, ma anche all’interno dello stesso settore, in base al tipo di attività.