Piore con la teoria del mercato duale del lavoro sostiene che, nonostante la politica pubblica d’immigrazione non espliciti la richiesta di forza lavoro estranea al sistema, la struttura economica propria delle nazioni sviluppate richieda permanentemente manodopera d’importazione.
Si tratta quindi di una visione macroeconomica del processo migratorio e non più alla scelta individuale o familiare come accade in altre teorie.

La teoria del mercato duale esprime un mercato del lavoro con caratteristiche diverse da quelle del mercato del lavoro tradizionalmente concepito.

Questa teoria cerca di comprendere perché, nonostante l’alto numero di disoccupati, un sistema continui a richiedere manodopera immigrata e perché i salari non riflettano soltanto i livelli della domanda e dell’offerta di lavoro (come supposto dalla teoria economica di Smith). Viene introdotto così il concetto di “prestigio sociale” associato alle professioni (per esempio nel caso Italiano, pur avendo alti tassi di disoccupazione, abbiamo una carenza di assistenti domiciliari, infermieri e fisioterapisti).

Secondo la teoria economica classica la carenza di forza lavoro impiegata in alcuni settori dovrebbe far lievitare il salario verso l’alto fintanto che un numero maggiore di persone siano disposte ad entrare nel mercato con tali qualifiche, ovvero finché l’offerta eguagli la domanda; ma non è sempre così. Il salario di un infermiere non potrebbe mai eguagliare quello di un medico per ovvi motivo di prestigio professionale, infatti non dobbiamo dimenticare, come sostiene Caplow (1954), che il mercato non svolge solo una funzione allocativa della risorsa lavoro, ma è anche un importante meccanismo di distribuzione del capitale sociale nel contesto moderno.

Di conseguenza è naturale importare dall’estero tali lavoratori piuttosto che accrescere i salari di professioni poco attraenti.

La riserva dei lavoratori è aspirata in alto, e al basso della scala tecnologica si produce un vuoto, nonostante spesso vi siano elevati tassi di disoccupazione. Le motivazioni di tale fenomeno possono essere ritrovate nelle caratteristiche strutturali delle società moderne “a benessere diffuso”. La maggiore durata degli studi affrontati e l’opportunità di mantenimento offerta dai genitori inducono i giovani a non accontentarsi del primo lavoro che capita ma di scegliere una “disoccupazione volontaria” in attesa di una migliore opportunità, nel settore del terziario, caratteristico delle società più avanzate.

Anche le società economicamente più evolute hanno bisogno di lavoratori a bassa specializzazione (come camerieri, lavapiatti, addetti alle pulizie, pony express, personale di vigilanza, addetti ai trasporti, custodi etc. etc.) che nei paesi ad economia avanzata, come afferma P.George (1978), sono in numero proporzionalmente variabile in rapporto ai posti per lavoratori qualificati. Quindi al settore primario basato su produzioni “capital intensive” con l’impiego di lavoratori qualificati ad alta retribuzione, alta tutela sindacale e sicurezza, si contrappone un settore secondario con lavori a bassa retribuzione, bassa qualifica, minima tutela sindacale e minima sicurezza sul posto di lavoro.

Da questa distinzione nasce la teoria del mercato duale del lavoro: mentre gli autoctoni hanno aspettative elevate nei confronti del lavoro (in termini di reddito, condizioni di lavoro e soprattutto di status professionale e contenuti del lavoro svolto), dall’altro una non trascurabile quota dei posti offerti corrisponde a lavori poveri, scarsamente retribuiti, a volte insalubri, da svolgersi in orari atipici, precari poco tutelati, non di rado sul confine dell’economia sommersa. Questa differenza tra domanda di lavoro da parte degli autoctoni e offerta di lavoro è colmata dall’immigrazione che va ad occupare posti inoccupati. D’altra parte l’immigrato non si può permettere di rifiutare nessun posto di lavoro, pur avendo qualifiche superiori. La sua precaria condizione economica e la consapevolezza delle limitate possibilità di scelta lo porta ad accettare tutto nell’ottica di un’immigrazione temporanea. Possiamo quindi affermare che all’interno della teoria duale del lavoro non emerge alcuna concorrenza tra immigrati e autoctoni, ma piuttosto una complementarietà strutturale, per cui oltre un certo limite non è possibile ridurre la manodopera immigrata né sostituirla con quella locale (un’analisi di questo tipo rivela però tutti i suoi limiti quando si estende ad un’immigrazione di tipo permanente). L’immigrato si dimostra quindi un individuo indispensabile all’economia nazionale quanto il cittadino; tale indispensabilità spesso non è stata colta, né correttamente interpretata dalle istituzioni, ma avviene oggi che l’Im-Mercato si fa portavoce della soggettività economica del cliente immigrato, malgrado le limitazioni imposte dall’attuale ordinamento giuridico.