Le teorie della crescita si dividono in due filoni; il primo considera la crescita esogena.
I fallimenti di questa prima fase delle politiche di sviluppo hanno, successivamente, spinto gli economisti ad indagare nel dettaglio sulla natura dei fattori complementari la cui assenza impedisce il decollo dei paesi emergenti; si è diffusa, cioè, la teoria della crescita endogena.

Teoria della crescita esogena (il modello di Solow)
Questa teoria afferma che i paesi in via di sviluppo sono inevitabilmente destinati a recuperare terreno per il fatto che i capitali rendono di più e tendono dunque a dirigersi laddove sono più scarsi.
Promotore di tale teoria è Robert Solow, che, intorno ai primi anni cinquanta, presenta quello che si rivelerà il modello dominante della teoria economica della crescita fino alla metà degli anni ottanta: il modello di crescita neo classico.
Analogamente ai classici, egli afferma che il progresso tecnico è guidato da forze esogene al sistema economico ma, una volta eliminata la divisione in classi degli individui componenti un’economia, assume che ognuno destini una parte costante del proprio reddito al risparmio e quindi all’accumulazione di capitale. Un importante risultato è che il tasso di crescita di un’economia è determinato dal progresso tecnico esogeno e il saggio di risparmio determina esclusivamente il livello di reddito, ma non il tasso di crescita; tale conclusione implica una convergenza nei tassi di crescita dei diversi paesi, in evidente contrasto con quanto è dato dall’evidenza empirica.
L’ipotesi, che Becchetti-Paganetto definiscono “affetta da ottimismo deterministico”, che il capitale si diriga automaticamente in quei paesi in cui è scarso perché il suo rendimento è maggiore, non è dunque suffragata dai fatti. Il problema è che affinché il capitale sia profittevole, sono necessarie una serie di condizioni di contorno fondamentali (qualità del sistema istituzionale, qualità delle risorse umane, coesione sociale, disponibilità di tecnologie), senza le quali il suo rendimento non è cosi elevato come ipotizzato dalla teoria neo-classica.

Teoria della crescita endogena
L’esogenità della crescita dei modelli tradizionali è una conclusione importante e che ha suscitato molte discussioni: si tratta infatti di un risultato assai forte: esso afferma in pratica che la dinamica di espansione non viene influenzata dalle decisioni degli individui, o meglio dalla specifica forma delle loro preferenze. Si tratta di una conclusione in fondo piuttosto controintuitiva, almeno in un impostazione fondata sull’equilibrio generale, all’origine di crescenti insoddisfazioni e critiche, sia teoriche che empiriche. Dal punto di vista teorico, le scelte di allocazione tra consumo e risparmio dovrebbero giocare un ruolo più attivo nel sentiero dinamico finale dell’economia. Da un punto di vista empirico il modello dovrebbe spiegare anche le notevoli e persistenti disparità tra i tassi di crescita dei vari paesi. L’unica spiegazione offerta dalla teoria tradizionale si basa in sostanza sulla differente dinamica tecnologica che le varie economie sperimenterebbero. Tale spiegazione appare però largamente insoddisfacente per vari motivi. In primo luogo appare forse eccessivo ridurre la complessità di un fenomeno fondamentale come la crescita di lungo periodo ad unico fattore per di più interamente “esogeno” (nel senso specificato in precedenza). In secondo luogo, nel lungo periodo la tecnologia dovrebbe comunque diffondersi in maniera abbastanza capillare a livello internazionale; sempre con un orizzonte temporale sufficientemente lungo, il progresso tecnologico (perlomeno nel modo in cui è trattato nel modello esogeno) dovrebbe essere una sorta di bene liberamente disponibile per i vari sistemi economici nazionali.
La teoria si è mossa pertanto in tempi recenti verso una soluzione di questo problema, cercando di endogenizzare il tasso di crescita dell’economia; in tal modo si risolverebbero non solo i problemi teorici della crescita esogena, ma si offrirebbe anche una spiegazione delle differenze internazionali nella crescita.
Tecnologia endogena: uno degli approcci seguiti è stato quello di internalizzare il progresso tecnico, con elaborazioni teoriche che tenessero conto che la variabile tecnologica rappresenta non il frutto del caso ma piuttosto delle scelte degli individui delle imprese e delle politiche economiche. In questo nuovo tipo di approccio il progresso tecnico diventa dunque una variabile da determinare e spiegare a partire da altre variabili economiche. In tal modo la crescita diventa una grandezza endogena influenzabile con opportune scelte di politica economica e di promozione dell’innovazione tecnologica.
I pionieri di questa concezione possono essere considerati Nicholas Kaldor e Kenneth Arrow, i quali tentarono di spiegare in termini economici il progresso tecnico. Arrow sosteneva che quest’ultimo si genera essenzialmente nell’apprendimento che si ricava nell’atto stesso di produrre (learning by doing).
Limitando l’attenzione al solo aspetto della tecnologia gli studiosi si accorgevano però che troppa parte della realtà restava fuori dal modello e i modelli dunque soffrivano ancora di scarsa capacità descrittiva e previsiva rispetto a quanto accadeva nelle economie reali.