La consistenza logica della teoria quantitativa della moneta è stata sottoposta, agli inizi del novecento, ad un’originale opera di revisione critica da parte di Knut Wicksell, le cui idee innovative hanno influenzato non poco il pensiero economico di Keynes.
L’apporto metodologico dell’economista svedese verte principalmente sull’analisi della natura ciclica del processo economico, nonché sui rapporti tra la variazione del livello generale dei prezzi e la divergenza dei tassi d’interesse, reale e monetario.

Egli non rigetta completamente il nucleo interpretativo della teoria quantitativa, anzi l’autore afferma che essa:

“è la unica teoria specifica del valore della moneta che è stata propugnata e forse la sola che possa vantare una reale importanza scientifica”.

Wicksell, tuttavia, ne attenua fortemente la validità generale e il senso della relazione meccanica del suo messaggio centrale, secondo cui a variazioni iniziali della quantità di moneta corrispondono movimenti sempre proporzionali del livello generale dei prezzi.
Il contenuto dell’atteggiamento critico di Wicksell pone in evidenza come la semplice formulazione della teoria quantitativa della moneta ci conduca inevitabilmente ad una visione riduttiva e discutibile della realtà. I postulati su cui si appoggia, infatti, forniscono una spiegazione superficiale dei fatti concreti della vita economica di un sistema. Al riguardo, Wicksell afferma, estesamente:

“[…] la teoria quantitativa è teoricamente valida sotto la rigorosa assunzione del ceteris paribus; alcune circostanze però, […], specialmente la velocità di circolazione della moneta, alla quale possono essere ricondotte più o meno tutte le altre, implicano fattori che sono i meno determinati e afferrabili dell’intera economia politica. Pertanto, se la teoria quantitativa è realmente valida, in altre parole, se il parallelismo fra i prezzi e quantità di moneta, che essa pretende, si realizza veramente, non può essere deciso a priori”.

Inoltre, l’introduzione sistematica del credito bancario nelle operazioni di scambio e di produzione rende il concetto di domanda e di offerta di moneta, rispetto agli insegnamenti dell’approccio tradizionale, oscuro e privo di diversa autonomia teorica. Nel caso limite di “puro credito”, infatti, che Wicksell cita nel suo modello, la teoria quantitativa perderebbe la sua solidità scientifica, poiché:

“[…] non è più possibile riferirsi all’offerta di moneta come una grandezza indipendente che differisce dalla domanda di moneta. Qualunque sia l’ammontare che può essere richiesto alle banche, esse saranno sempre in grado di prestarlo. Ne discende che le banche possono portare il livello generale dei prezzi a qualsiasi altezza desiderata”.

L’obiettivo principale che si prefigge lo schema di Wicksell consiste, quindi, nell’individuare le condizioni essenziali che, in una struttura economica, danno origine al fenomeno inflazionistico.
Nella definizione di simili condizioni, un ruolo decisivo compete all’esercizio del potere discrezionale da parte del sistema bancario, nel fissare il saggio monetario d’interesse, e, quindi, nel determinare l’andamento dei prezzi. In particolare, la crescente partecipazione del sistema bancario alla regolazione dell’offerta di moneta fa sì che la fluttuazione dei prezzi non sia un mero movimento di natura quantitativa del tutto neutrale, come ipotizzato dai neoclassici. Il sistema bancario, infatti, coma sostiene Wicksell, altera, in modo significativo, l’equilibrio reale dell’economia, in quanto introduce in essa un’offerta di moneta non più rigida, ma che oscilla entro limiti molto estesi. Le banche possono concedere sia prestiti e sia creare depositi per un ammontare quasi illimitato, sempre se la percentuale delle loro riserve sia mantenuta ad un livello molto basso. Invero, come ribadisce l’autore in tal senso:
“le banche non hanno, come i privati, un limite alle operazioni di prestito nei fondi di loro proprietà o anche nei mezzi che i risparmi mettono a loro disposizione. Concentrando nelle loro mani i fondi liquidi dei privati, continuamente ricostituiti da nuovi versamenti a mano a mano che sono assottigliati dai prelievi, esse posseggono un fondo per prestiti, sempre elastico e, a certe condizioni, inesauribile”

Le banche assumono, quindi, la funzione di intermediazione delle decisioni di risparmio degli operatori. Il saggio monetario dell’interesse non è più un tasso stabilito dalle leggi di mercato, bensì un saggio praticato dall’indipendente politica delle autorità monetarie. Esso non funge più, come accadeva nella visione neoclassica, da meccanismo coordinatore tra le decisioni di risparmiare e di investire.
Affinché il sistema si trovi in una posizione d’equilibrio in cui non si abbiano mutamenti nel livello generale dei prezzi, occorre che si attui la condizione di uguaglianza tra il tasso monetario dell’interesse (determinato dalla domanda e dall’offerta di prestiti bancari) e il tasso naturale dell’interesse (che assicura l’equilibrio tra la domanda e l’offerta di risparmio). Più precisamente, l’economista svedese definisce il tasso dell’interesse naturale o normale quello a cui:

“la domanda di capitale a prestito e l’offerta di risparmio sono esattamente uguali, e che più o meno corrisponde al rendimento aspettato del capitale di nuova creazione”

Il tasso d’interesse reale non si presenta come una grandezza fissa e costante, dal momento che l’altezza del tasso naturale dell’interesse:

“dipende da tutte le mille e una circostanza che nell’insieme formano la situazione corrente dell’economia in esame, ed essa muta ininterrottamente al variare di queste ultime”.

Ma la situazione d’equilibrio, coma sostiene Wicksell, caratterizzata dalla necessaria corrispondenza tra risparmi ed investimenti (da un saggio naturale uguale al tasso monetario dell’interesse) e dalla costanza del livello generale dei prezzi è, senza dubbio, una meta possibile e raggiungibile, ma non costituisce un’ipotesi del tutto automatica e certa. Infatti, il sentiero di equilibrio, ora, rappresenta, solo un punto di riferimento labile, la cui concretezza rimane affidata all’osservazione sia della politica di espansione del credito bancario, sia delle caratteristiche reali del sistema economico. Di conseguenza, si arguisce l’idea che la divergenza dei due tassi figura come un’evenienza sempre presente nella realtà, in cui la posizione di disequilibrio esprime necessariamente la regola generale, dal momento che nel sistema economico non esistono meccanismi automatici, che consentono cioè, spontaneamente, di convergere e stabilizzare il sistema stesso verso un’ideale punto di equilibrio.
Nel periodo in cui si ammette un saggio dell’interesse bancario relativamente più basso rispetto al tasso normale, in questa ipotesi, possiamo notare come si scoraggia immediatamente il risparmio del pubblico, e, per tale motivo, si favorisce l’aumento della domanda globale di beni di consumo e dei prezzi monetari. In secondo luogo, la deviazione dei due tassi procura nette occasioni di profitto, che inducono gli imprenditori ad incrementare la loro domanda di beni e sevizi strumentali e, quindi, ad espandere la propria attività produttiva, innescando un processo cumulativo di crescita economica. Si forma, in effetti:

“una gara tra gli imprenditori per procurarsi mano d’opera, materie prime, agevolezze naturali […]; il che porta a un aumento dei loro prezzi e, indirettamente, pel cresciuto reddito monetario dei lavoratori e proprietari terrieri e per la cresciuta domanda di merci, a un aumento dei prezzi di tutti i beni di consumo in aggiunta a quello già cagionato dalla diminuzione del risparmio”

Pertanto, l’equilibrio originario del mercato dei beni è infranto, in quanto di fronte ad una domanda complessivamente cresciuta in due parallele direzioni (domanda di consumo e domanda di investimento), riscontriamo la presenza di un’offerta rigidamente statica, in un sistema che opera normalmente in condizioni di piena occupazione.
La fase di ascesa dei prezzi si arresterà solo nel momento in cui viene meno la causa principale che l’ha provocato, ossia quando il tasso dell’interesse bancario verrà allineato al livello naturale; o in altri termini, quando le decisioni di investire e di risparmiare trovano, sul mercato, un loro pieno raccordo. Infatti, secondo il pensiero dell’insigne economista:

“il punto essenziale è che il mantenimento di un livello costante dei prezzi dipende, a parità di altre condizioni, dal mantenimento di un particolare saggio d’interesse sui prestiti, e che uno scostamento non momentaneo fra questo particolare saggio e quello praticato correntemente sul mercato esercita un’influenza progressiva e cumulativa sui prezzi. Ma la spiegazione suggerita dalla teoria quantitativa, secondo la quale l’aumento dei prezzi è dovuto ad un eccesso di moneta e la diminuzione ad una deficienza della stessa, non concorda con le variazioni del saggio d’interesse effettivamente riscontrato nel tempo […]”

D’altro canto, Wicksell, sottolineando, in diverse occasioni, la prevalente vischiosità dei movimenti del saggio d’interesse monetario e la continua variabilità del tasso reale, ci ricorda come:

“[…] una corrispondenza esatta dei due tassi d’interesse non può essere attesa, perché la variazione dell’interesse naturale (medio) del capitale è probabilmente continua (secondo la legge dei grandi numeri), mentre l’altezza dell’interesse monetario, almeno in quanto essa venga regolata dai grandi istituti monetari, diminuisce oppure aumenta per lo più soltanto per salti discontinui”

Dalla lettura di questo passo, si ricava l’importante corollario che il livellamento tra i due saggi debba essere ritenuto sempre come un’astratta possibilità. Infatti, precisa Wicksell:

“abbiamo evitato volutamente l’espressione che l’uguaglianza fra l’interesse monetario e l’interesse naturale del capitale fosse necessaria per la stabilità dei prezzi. In realtà, sia l’uno che l’altro concetto sono piuttosto vaghi e loro esatta rilevazione pone difficoltà già sotto il profilo teorico”.

Wicksell, dall’origine del divario dei due tassi d’interesse in un’economia dotata di un sistema bancario certamente avanzato, discende l’interpretazione teorica delle fluttuazioni economiche e delle variazioni del livello assoluto dei prezzi.
In pratica, egli insiste sul meccanismo del tasso dell’interesse nell’analisi del processo dinamico di crescita economica, mediante il quale mutamenti della quantità di moneta e di espansione del credito, che si verificano nel momento in cui non vengono assicurate le condizioni dell’equilibrio monetario (corrispondenza tra il tasso naturale dell’interesse e quello bancario), diventano attivi fattori di disturbo, imprimendo all’assetto economico un andamento ciclico.

Il bersaglio del suo ragionamento concerne, dunque, il carattere unilaterale della teoria quantitativa della moneta, che faceva dipendere il fenomeno dell’inflazione da un eccesso di circolazione monetaria deciso dalle autorità di governo del credito, allo scopo di finanziare maggiori spese della collettività. Di fronte a questa impostazione, che richiamava essenzialmente un fattore esogeno per spiegare la natura delle crisi economiche, Wicksell ha proposto, in maniera innovativa, un’altra interpretazione che attribuiva all’incessante richiesta di finanziamenti da parte degli imprenditori, nei riguardi delle banche, la ragione della smisurata circolazione monetaria nel sistema, favorendo, quindi, l’ascesa dei prezzi.
Secondo l’analisi di Wicksell, l’inflazione, diversamente dalla prospettiva neoclassica, non costituisce un fenomeno di attrito, transitorio ed accidentale, che danneggia la struttura economica, allontanandola da un’ideale ipotesi di equilibrio di piena occupazione dei fattori produttivi. Esso dipende, invece, dalla politica stabilmente condotta dalle autorità monetarie, che manipolando il saggio d’interesse sui prestiti, è capace di originare ripercussioni irreversibili sul flusso della domanda globale e sull’andamento dei prezzi, alterando, in questo modo, le posizioni di equilibrio.