Nata da una scissione avvenuta in seno al "Milan Cricket and Football Club", l’Internazionale Milano vide la luce la sera del 9 marzo 1908. Ad originare la rivolta di una parte dei soci fu una forte divergenza d’opinioni circa la possibilità di inserire, nell’organico del club, anche atleti stranieri, eventualità fermamente osteggiata dalla dirigenza di allora. Ebbe inizio così la storia di uno dei più importanti club calcistici italiani, l’unico, insieme all’F.C. Juventus, ad aver disputato tutti i campionati di massima serie dalla loro fondazione. La società nerazzurra visse il suo miglior momento all’inizio degli anni ’60, sotto la guida tecnica del mago Herrera e la presidenza del patron Angelo Moratti. E proprio la famiglia Moratti si riappropria della dirigenza societaria nel febbraio del 1995. È infatti Massimo Moratti, figlio del "Presidentissimo Angelo" ad acquisire la titolarità del club succedendo ad Ernesto Pellegrini, anche se, come testimoniato dallo stesso Moratti, “…in famiglia nessuno, proprio nessuno fosse d’accordo. L’ho acquistata lo stesso. Perché la ricchezza serve anche a questo: a comprare una passione”.
Ma la seconda era Morattiana si è rivelata più difficile, dispendiosa e spesso sconclusionata rispetto a quella degli anni d’oro. Non solo risultati che faticano ad arrivare, ma anche una gestione societaria, soprattutto economica, che definire estremamente onerosa è limitativo. Nel tentativo di vincere, come già fece suo padre, Massimo Moratti spende e spande come nessuno prima di lui nel calcio professionistico.
Più di 100 i giocatori acquistati nel corso degli anni dal patron nerazzurro, ma ancor più dei calciatori a fare impressione è il numero degli allenatori sedutisi almeno una volta sulla panchina interista: 11 tecnici in 9 stagioni con un costo complessivo di oltre 68 milioni di euro!! Da Ottavio Bianchi, primo allenatore dell’era Moratti, sino a Mancini, è stato un continuo crescendo in termini di spesa. Dal biennale firmato da Simoni nel 1997 (al netto 1,4 miliardi di lire l’anno) al mega ingaggio di oltre 5 miliardi per Marcello Lippi (2,7 milioni di euro l’anno). E poi ancora Cuper, Zaccheroni, Tardelli, Lucescu, Hodgson e via via gli altri, tutto pur di dare alla squadra e alla società quella sterzata decisiva per farla tornare a vincere. Ma niente. La bacheca si è arricchita unicamente di trofei minori e di una Coppa Uefa, vinta nel 1998 contro la Lazio, per il resto il popolo nerazzurro ha unicamente dovuto assorbire cocenti delusioni. Talvolta prendendosela con il palazzo, come nella stagione 1998-1999 in cui lo scudetto dopo un serrato testa a testa con la Juventus prese la via di Torino tra mille polemiche e sospetti399, tal altra prendendosela unicamente con se stessi. Come per la stagione 2001-2002, quando la squadra, avanti di 6 punti a 5 giornate dalla fine del torneo riuscì nell’impresa di farsi rimontare dall’odiato nemico bianconero torinese. Ancor oggi il 5 maggio, per alcune milioni di tifosi, non è più la morte di Napoleone, ma il decesso per suicidio all’ultima giornata di campionato.
A tutt'oggi l'Inter sta vivendo il più lungo digiuno di scudetti della sua storia: da 17 anni l'agognato trofeo si fa attendere ed è bizzarro notare come il fautore di questo record alla rovescia sia proprio il figlio del più grande presidente della storia nerazzurra. Le cause di questo inglorioso periodo sono molteplici: una perenne instabilità societaria, dove troppo spesso sono cambiate le figure chiave in seno al club, una politica di gestione alquanto discutibile, caratterizzata dall’assenza di un piano manageriale definito, nonché campagne acquisti spesso troppo onerose e scarsamente incisive.
La sostituzione dell’allenatore, identificato come causa di tutti i mali, è divenuta più che una prassi sistematica all’Inter401. Naturalmente, come si è già avuto modo di ripetere più volte nel corso del presente testo, tale opera rappresenta uno degli errori tipici e più rilevanti in cui incorrono le società italiane. Le statistiche, e nel caso dell’Inter anche la nuda e cruda realtà, testimoniano come il cambio del timoniere non solo non produca effetti positivi, ma il più delle volte esattamente l’opposto.
Basta ricordare il dopo Lippi con Tardelli e il derby-onta del 6-0 o il dopo Simoni con Lucescu-Castellini-Hogson e un campionato finito in malo modo perdendo anche lo spareggio per la partecipazione alla coppa uefa. Senza dimenticare poi le discutibili scelte in ambito di mercato.
Dalla cessione di Roberto Carlos al Real Madrid (l’unico laterale sinistro di valore mondiale che l’Inter ha avuto dai tempi di Facchetti, mandato come uno scarto nella capitale spagnola dove poi avrebbe vinto tutto) fino ai vari Pirlo, Seedorf, o Cannavaro, scambiati con atleti di ben altro spessore (Guly, Coco o Carini).
Ma è la gestione nel suo complesso che fa acqua un po’ da tutte le parti. Si consideri per esempio che l’Inter, dal 1990 ad oggi, non ha chiuso un solo esercizio in utile, ed anzi, le perdite sono letteralmente esplose dall’inizio del nuovo millennio: più di 420 milioni di passivo dal giugno 2001 al giugno 2005.