La compagnia portuale “Nicola e Salvatore Briamo” racchiude in se la tradizione e l’esperienza di oltre settant’anni di attività maturata a Brindisi nel campo delle operazioni portuali. Le corporazioni nei porti trovarono origine nella tendenza dei lavoratori a raggrupparsi per la tutela dei loro interessi e per la necessità di assicurare, malgrado la discontinuità dei traffici marittimi, un servizio di facchinaggio proporzionale al volume della domanda. L'organizzazione dei turni di lavoro ad esse demandata, evitava che la piena occupazione diventasse privilegio di pochi e, allo stesso tempo, garantiva la presenza costante di un certo numero di operai che, quotidianamente, potessero far fronte alla massa di merci da caricare e scaricare. Le prime compagnie portuali vengono fondate da tutti quei facchini e lavoratori liberi, che soggetti al rischio di restare disoccupati a causa della discontinuità del lavoro, tendevano a costituirsi in altrettante corporazioni, assumendo a modello la “compagnia dei caravana”67. Sorsero allora in modo spontaneo le prime associazioni, con statuti e nomi molto diversi, sia per assicurare una costante presenza delle maestranze, sia per compensare gli scarsi guadagni dei periodi morti, sia infine, per contenere abusi, ritardi e inadempimenti.
Una regolamentazione del lavoro portuale, diretta ad anteporre l'interesse pubblico a quello particolare dei lavoratori portuali si ha con una legge del 1864 nella quale, all’art. 3, tra l'altro è testualmente precisato: « Per quanto riguarda il lavoro nei porti, potranno i municipi, sentite le Camere di Commercio, sottoporre alla sanzione reale regolamenti di sicurezza pubblica e condizioni di età e moralità, senza limitazione del numero degli esercenti, senza divieto ai capitani di valersi dell'opera dei loro equipaggi esistenti a bordo. Una tariffa approvata dal Governo potrà fissare il massimo della mercede». L'assenza di una effettiva disciplina e di adeguati controlli da parte dell'autorità marittima, unita al mancato riconoscimento ufficiale delle organizzazioni dei lavoratori favorì il formarsi di veri e propri centri di potere costituiti da imprese, armatori e spedizionieri che assumevano l'appalto del lavoro di carico e scarico delle navi. In molti porti le corporazioni più o meno camuffate in società cooperative di mutuo soccorso, reclutavano la manodopera necessaria secondo criteri prestabiliti. Gli appaltatori, dal canto loro, ricorrevano ad intermediari, denominati “confidenti” o “caporali” che, arbitrariamente, ingaggiavano lavoratori nelle zone dove maggiore era la disoccupazione ed inesistente una qualificazione professionale. La riforma può dirsi conclusa con il Reggio decreto 24 gennaio 1929 n. 166, quando venne stabilita, in via definitiva, la forzosa associazione dei lavoratori portuali in apposite compagnie.
Le disposizioni relative alle compagnie ed ai rapporti che ad esse fanno capo erano contenute nel codice della navigazione e nel regolamento per la navigazione marittima. Solo i cittadini italiani potevano essere lavoratori portuali e quindi soci delle compagnie e per diventare soci occorreva avere vinto l’apposito concorso, essere stati iscritti nei registri dei lavoratori portuali e aver versato alla compagnia la quota sociale determinata dal direttore marittimo.
L’ordinamento della navigazione non stabiliva tuttavia quale fosse la posizione giuridica dei lavoratori portuali. Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza i lavoratori, soci delle compagnie, non erano lavoratori dipendenti perché il rapporto societario considerato era incompatibile con quello di lavoro subordinato. Secondo altri autori invece l’eguaglianza esisterebbe solo nella posizione reciproca dei soci e non nei rapporti tra soci e società.
Ciascuna compagnia era dotata personalità giuridica e di un proprio patrimonio e quindi annualmente occorreva redigere un bilancio. Inoltre era sottoposta ad ispezioni e controlli da parte del ministero per la marina mercantile e dall’autorità portuale. Con l’andar del tempo, ad una disciplina liberale si è sostituita una disciplina il cui scopo immediato era una regolamentazione della materia rispondente al fine generale di assicurare la regolarità delle operazioni di maneggio delle merci, in tutti i luoghi in cui le navi avrebbero potuto scaricare, ed il cui scopo mediato era la tutela dei lavoratori portuali.
La dottrina ritiene che il servizio svolto dalle compagnie sia un’attività privata perché questo si concretizza nel fornire la manodopera necessaria ad eseguire le operazioni portuali relative alla movimentazione delle merci. Alcuni autori ritengono che il fine perseguito dalle compagnie nell’esplicazione della loro attività, sia un fine mutualistico. Ossia conseguire, senza intermediari e attraverso una organizzazione sistematica del lavoro, una retribuzione sicura per i propri soci e quindi erano“cooperative di lavoro”.
Al momento dell’istituzione delle compagnie, con il Reggio Decreto 24 gennaio 1929 n. 166, esistevano 23.523 lavoratori portuali suddivisi in 25 porti e Brindisi ne contava 265.
Il 29 agosto dello stesso anno nasce a Brindisi la Compagnia Portuale “Nicola e Salvatore Briamo”. I lavoratori del porto di Brindisi, in rapporto alle diverse specialità del lavoro, costituivano due categorie distinte: i lavoratori addetti alle merci varie e i lavoratori addetti al carbone e con il Decreto n. 8 del 10 agosto 1929 questi furono raggruppati in un’unica compagnia suddivisa in due sezioni: la sezione degli addetti alle merci varie e la sezione degli addetti al carbone.
Il 17 Dicembre del 1994, per effetto della legge n. 84 del 1994, la preesistente compagnia portuale si sdoppia e nasce così la “cooperativa Briamo” che si occupa della fornitura di manodopera temporanea alle imprese portuali, e l’«impresa Briamo S.r.l.» che si affaccia sul mercato delle operazioni portuali terminalistiche.
La legge di riordino della legislazione in materia portuale68, prevedeva infatti, all’art. 21 che le compagnie ed i gruppi portuali, entro il 18 marzo 1995 dovevano trasformarsi in una delle seguenti società:
1. in una società secondo i tipi previsti nel libro V, Titoli V e VI, del Codice Civile, per l’esercizio in condizioni di concorrenza delle operazioni portuali;
2. in una società o una cooperativa secondo i tipi previsti nel libro V, Titoli V e VI, del Codice Civile, per la fornitura di servizi.
3. in una società secondo i tipi previsti nel libro V, Titoli V e VI, del Codice Civile, avente lo scopo della mera gestione, sulla base dei beni già appartenenti alle compagnie e gruppi portuali disciolti.