Grandi piani per lo sfruttamento del gas siberiano.
Putin fa perno sull’export di materie prime e di energia per raddoppiare il PIL entro il 2011.

Una delle grandi questioni internazionali riguarda oggi la politica delle fonti energetiche. Alla produzione del Medio Oriente si affiancano quelle di diverse aree del continente americano, dell’Africa, dell’estremo oriente e della Russia e Siberia. Il Cremlino ha in mano oggi un potente strumento di potere geopolitico e un’occasione per risanare l’economia interna e per garantire alla Russia l’ingresso alla WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) seguendo le linee di quella che, da Vladimir Putin, prende il nome di «Putinomics». Oggi la Russia ha sul piano teorico grandi possibilità di diventare una delle prime potenze economiche, non certo nel breve termine, ma nel medio e lungo periodo. Un indice significativo dei divari in essere può essere dato dal reddito pro-capite: fatto 100 quello degli Stati Uniti, la Russia è a quota 6,1 contro 2,8 della Cina e 1,4 dell’India. Per il 2004, ultimi dati disponibili, in parità di potere d’acquisto, il peso del PIL della Russia è del 2,6% a livello mondiale contro il 2,9% dell’Italia, il 6,9% del Giappone e il 20,9 degli Stati Uniti. Ciò premesso, la strategia odierna è di puntare sulle esportazioni di materie prime, comprese quelle energetiche, che l’immensa Siberia possiede in misura quasi impressionante, ma il cui sfruttamento deve avvenire con grandi costi date le condizioni climatiche e le grandi distanze.




La strategia di Putin prevede lo sfruttamento delle immense riserve energetiche della Siberia, lo sviluppo di forti alleanze commerciali tra i grandi paesi, Cina compresa, l’investimento di grandi capitali e la ripartizione dei rischi tra paesi produttori e consumatori, l’adeguamento degli attuali prezzi politici a quelli di mercato, il controllo del sistema dei gasdotti e degli oleodotti di tutti i paesi della vecchia Unione Sovietica.
La Russia, infatti, è oggi con il 26,7% il primo produttore mondiale di gas e prevede di quintuplicare nell’arco di venti anni le sue riserve accertate. Per quanto riguarda il greggio, la cui produzione oggi è di 555 milioni di tonnellate, pari al 14,3 % del totale mondiale, si prevede, secondo stime OCSE (Organizzazione per l’Economia la Co-operazione e lo Sviluppo Economico), che raggiungerà la soglia degli 800 milioni di tonnellate nel 2020 pari al 20 % dell’attuale produzione mondiale. Da questi dati si evince che la possibilità della Russia nel settore del petrolio greggio sia minore rispetto a quello del gas naturale.
Mosca persegue una politica energetica di dimensioni planetarie, stringe patti di alleanza commerciale e prende impegni di investimenti strutturali, guardando sia ad Occidente che a Oriente. La Gazprom, la società fornitrice di gas a partecipazione statale, che opera in regime di monopolio è la pedina più importante e oggi si colloca al terzo posto, dopo Exxon Mobil e General Electric, con 300 miliardi di dollari di capitalizzazione e ha superato la Mircosoft, la cui capitalizzazione è di 280 miliardi.
Vladimir Putin, che nel prossimo luglio presiederà per la prima volta il vertice del G8 a San Pietroburgo, intende giocare un ruolo di primo piano nella politica energetica mondiale e per spingere l’Europa e gli Stati Uniti ad investire nei gasdotti, negli oleodotti e nello sviluppo dei giacimenti in Siberia e nell’Artico.



A Occidente il Cremlino punta a tenere sotto pressione l’Unione Europea grazie alla miopia mostrata dal vecchio continente per non aver messo in atto adeguate politiche energetiche comuni. Di questa situazione si avvantaggia oggi la Russia con il maxi-accordo tra due società tedesche (E.On e Basf) e la russa Gazprom per lo sfruttamento del giacimento di gas della Siberia occidentale, che prevede la costruzione, tra la Russia e la Germania, attraverso il Mar Baltico, di un gasdotto sottomarino, il North European gas pipeline (NEGP). La Germania a tutt’oggi è il maggior cliente del gas russo, acquisendo circa il 18,7% delle sue esportazioni. A oriente Mosca stringe alleanze con Pechino. A fine marzo Putin ha concordato una fornitura record di metano con la Cina. La compagnia energetica russa Gazprom fornirà alla cinese Cnpc (China National Petroleum) 80 miliardi di metri cubi l’anno, pari circa al fabbisogno energetico annuo dell’Italia, ed entro il 2010 i due paesi puntano a raddoppiare gli scambi commerciali di energia. Inoltre, Putin prevede investimenti in infrastrutture che portino alla costruzione di un gasdotto, dal nome “Altaj”, che collegherà in un primo tempo la Siberia alla Cina e che presumibilmente verrà realizzato entro il 2011-2012.
Il presidente russo vuole ripartire i suoi rischi tra paesi produttori e paesi consumatori. I paesi europei, tra cui l’Italia, che vogliano garantirsi forniture future di energia dovranno, pertanto, investire anche nello sviluppo dei giacimenti di gas siberiano, sostenendo in tal modo le stesse società russe nel business della distribuzione agli utenti finali. L’IEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia) indica che la Russia dovrà investire almeno 11 miliardi di dollari l’anno per sviluppare le proprie risorse nel settore del gas. Tali risorse sono, infatti, concentrate nelle zone più fredde e poco accessibili del Mar Artico e della Siberia occidentale e il loro costo di estrazione è pertanto molto elevato. Nonostante l’importante flusso di petrodollari che sta incassando, la Russia, in questa fase di sviluppo, ha ugualmente bisogno del capitale straniero, in quote naturalmente minoritarie. A tal fine Putin ha assicurato che la nuova legge in gestazione sullo sfruttamento delle risorse naturali del sottosuolo dovrebbe migliorare le condizioni tecniche e giuridiche, per creare, quindi, un clima più adatto agli investimenti stranieri.
Per lo sfruttamento del giacimento di Shtokman, nel Mare di Barents, nell’Artico russo, la scelta dei partners stranieri è ancora in discussione ed è stata rinviata a dopo l’estate. Accanto alle americane Chevron e ConocoPhilips sono in corsa per finanziare lo sfruttamento di tale nuovo giacimento anche le norvegesi Statoil e Norsk Hydro, e la francese Total. La Russia garantisce che le scelte saranno fatte sulla base di opportunità economiche e non politiche, ma lascia comunque riflettere il fatto che la decisione sia stata rimandata a dopo il G8 e che quello americano è l’ultimo «si» che manca a Mosca per poter entrare nel WTO.
I progetti che Putin ha in Siberia riguardo al greggio sono ambiziosi. L’esistente oleodotto, sarà prolungato fino alle coste sud-orientali della Baia Perevoznaja. La Siberia, sempre secondo i piani di Putin, sarà attraversata anche da un oleodotto che raggiungerà la Cina, finanziato dalla Cnpc cinese con la costituzione di una Joint Venture sino-russa.
La Russia, inoltre, può contare su quello che viene definito il «tesoro del Caspio». In questa regione Mosca esercita il controllo dei prezzi del gas naturale e delle infrastrutture. Se fino ad ora i prezzi del gas destinato ai paesi limitrofi sono stati praticati al livelli politici, in nome della “fratellanza sovietica”, la Russia persegue oggi la politica di riportare il livello dei prezzi a quello di mercato, provocando in tal modo un raddoppio del prezzo che tali paesi sono costretti a pagare per le loro forniture di gas. Un tale aumento ha già originato la crisi di gennaio tra Russia e Ucraina.
Se pare, comunque, legittimo per la Russia l’abbandono di un sistema di prezzi agevolati nei confronti delle repubbliche ex-sovietiche, non sembra ci sia una esatta contropartita quando è la Russia dalla parte dell’acquirente delle riserve energetiche del Turkmenistan o del Kazakhstan. A questo punto entra in gioco il secondo strumento di influenza geopolitica russo: il controllo delle infrastrutture di gasdotti e di oleodotti che collegano tutte le ex repubbliche sovietiche alla Russia stessa e quest’ultima al resto del mondo. Il sistema di idrocarburi della vecchia Unione Sovietica era stato costruito per essere gestito dal centro – cioè da Mosca – ed ora è appannaggio delle due società russe sotto controllo governativo: Transneft (petrolio) e Gazprom (gas). Grazie a tale sistema di gasdotti e oleodotti, Mosca può condizionare i flussi di energia a tutta la Cis (Comunità di Stati Indipendenti costituita nel 1992).
In tale regione il conflitto di interessi politici ed economici tra Stati Uniti e Russia si ripropone con obiettivi precisi. Gli Stati Uniti hanno proposto nuovamente, riprendendo il progetto delle politiche dell’amministrazione Clinton, la costruzione di un gasdotto, la Trans Caspian Gas Pipeline (Tcgp), che dovrebbe trasportare gas dall’Azerbaigian, dal Kazakhstan e dal Turkmenistan verso l’Europa attraverso il Mar Caspio, la Georgia, il Mar Nero, la Turchia e la Grecia, fino ad arrivare all’Italia. Dato l’aumento dei prezzi del gas, tali investimenti cominciano ad essere sostenibili in termini di costo. Se questi fossero realizzati, ridurrebbero notevolmente l’influenza del Cremlino nella regione e farebbero aumentare l’influenza statunitense.
Secondo i piani della «Putinomics» l’economia delle fonti energetiche, inquadrata in un più ampio contesto delle esportazioni di tutte le materie prime, dovrebbe portare al raddoppio, entro il 2011, del PIL della Russia, con un incremento medio annuo del 10% circa, un dato questo che sembra troppo elevato per essere conseguito nel medio periodo. Un certo aiuto dal punto di vista finanziario potrebbe derivare dagli sviluppi della borsa valori, che il Presidente Putin intende valorizzare, rendendo il rublo una moneta pienamente convertibile.


Pubblicato su Finanza Italiana maggio-giugno 2006