L’approccio “eclettico” proposto da Dunning nel 1981 opera un importante ampliamento della teoria dell’internalizzazione, introducendo nello schema interpretativo variabili di tipo localizzativo, riferite alle caratteristiche macroeconomiche ed istituzionali dei paesi.
A tal fine, Dunning propone una griglia interpretativa a tre livelli, che spiega le scelte di internazionalizzazione delle imprese in funzione:

· Primo livello:l’esistenza di vantaggi da proprietà (ownership advantages), derivanti dal controllo proprietario di specifiche risorse aziendali trasferibili all’estero a basso costo;
· Secondo livello:l’ internalizzazione, derivanti dall’integrazione nell’impresa di attività diverse;
· Terzo livello:i vantaggi localizzativi, connessi alle caratteristiche dei paesi ospitanti.

I vantaggi da proprietà delle imprese includono tutti i fattori competitivi nei confronti dei concorrenti, quali l’innovatività tecnologica, il possesso di competenze e skills specialistici, l’organizzazione manageriale, le capacità finanziarie e le economie di scala. Questo è l’aspetto su cui maggiormente si è concentrato il filone delle teorie oligopolistiche, che sottolinea i vantaggi competitivi e/o il potere di mercato dell’impresa.
I vantaggi da internalizzazione sono invece quelli descritti da Buckley e Casson e ripresi dall’approccio dei costi transazionali, che derivano dall’integrazione nell’impresa di attività diverse (eventualmente anche in senso unicamente geografico), grazie allo sfruttamento di economie di varietà, alla riduzione del rischio ed in generale dei comportamenti opportunistici. I vantaggi specifici dei paesi, di cui usufruiscono le imprese localizzate sul loro territorio sia nazionali che estere, saranno invece determinati da variabili quali: la presenza di risorse naturali, la disponibilità, il costo ed il grado di qualificazione del lavoro, le infrastrutture, il potenziale scientifico-tecnologico nazionale, la dimensione dei mercati, la distanza (geografica e culturale) rispetto al paese investitore, i fattori istituzionali e le politiche pubbliche.

La scelta dell’impresa sulla modalità di internazionalizzazione (esportazione, IDE o “trasferimento contrattuale di risorse” attraverso le licenze) dipenderà dall’intreccio e dei diversi tipi di vantaggi. Il possesso di vantaggi di proprietà nei confronti dei competitori esteri è un pre–requisito per tutte le forme di internazionalizzazione; l’esistenza o meno di vantaggi da internalizzazione spiega il ricorso all’export ed all’IDE nei confronti delle licenze; i vantaggi localizzativi favoriscono la decisione di dare origine ad unità produttive all’estero tramite IDE.

Questo schema interpretativo, che nelle intenzioni di Dunning voleva costituire una teoria generale dell’internazionalizzazione, rappresenta un significativo passo in avanti nella comprensione dei processi di espansione internazionale dell’impresa, combinando in modo originale strumenti concettuali diversi. Esso è peraltro essenzialmente statico, in quanto spiega le condotte internazionali delle imprese sulla base dell’esistenza di vantaggi dati, senza analizzarne nè gli sviluppi dinamici, né le interazioni con il processo di crescita internazionale. Ad esempio, la stessa capacità dell’impresa di produrre, commercializzare e fare ricerca su mercati più o meno ampi e diversificati geograficamente ne condiziona le prestazioni e può diventare a sua volta fonte di vantaggio competitivo, attivando un circuito virtuoso tra vantaggi derivanti da learning by doing da internazionalizzazione e competitività.

Non solo la dotazione ex ante a livello di impresa, di settore e di paese determina i flussi di internazionalizzazione, ma vale pure un processo casuale inverso: i vantaggi da internazionalizzazione sono a loro volta generatori di competitività. Un primo tentativo di dinamicizzare il modello è stato compiuto dallo stesso Dunning, che cerca di individuare un “ciclo di sviluppo dell’IDE” connesso allo stadio di crescita economica dei paesi.