Un settore molto attivo ma spesso trascurato dell’economia è la cosiddetta economia sommersa. Eppure sono molte le ragioni che indurrebbero a riportare l’attenzione su di essa. Vediamone perché. E’ stato fatto ripetutamente notare dagli studiosi che nel Prodotto Interno Lordo non entra il valore economico delle prestazioni volontarie, né quelle del lavoro domestico perché queste, non essendo retribuite, non “possono” essere contabilizzate. La stessa cosa avviene per l’insieme delle transazioni di beni e servizi che vengono regolate con denaro contante e non vengono registrate. Ci riferiamo a quell’ economia sotterranea chiamata anche “al nero” che convive parallelamente all’economia ufficiale e che, non essendo rilevata nel PIL, può significare che un paese sia più ricco di quanto i dati statistici mostrino. Paradossalmente, se l’economia ufficiale va male, è quasi certo che l’economia sommersa vada molto bene. Friedrich Schneider, un economista che da anni indaga il fenomeno, ha calcolato che se l’economia sommersa, in un paese sviluppato cresce dell’1%, il suo PIL, in termini reali, decresce dello 0,8%, un valore alquanto significativo.
L’economia sommersa può essere legale o illegale. L’una non ha nulla in comune con l’altra. Quella legale comprende le attività su descritte (lavoro volontario e lavoro domestico) più gli scambi di beni e di servizi che vengono pagati senza fattura ( ad esempio il fornitore che pagate in contanti senza chiederne la ricevuta ). L’economia illegale invece, è quella costituita da attività illecite, quelle che la legge non consente. Non è certo quale peso percentuale abbiano le due componenti nel totale di quest’economia sotterranea, ma sorprendentemente pare che quella legale abbia una consistenza preponderante,( 80% contro un 20%).
Le ragioni storiche e sociali
Ma qui viene la domanda spontanea, perché esiste l’economia sommersa? Essa trae origine dalla natura umana che porta l’individuo a fare una scelta tra le diverse opzioni esistenti. Di fronte alle “pretese” dello stato sulle attività economiche, il cittadino valuta le alternative e sceglie quindi quella che ritiene più vantaggiosa per se stesso. Se questa significa operare al nero egli adotterà questa soluzione.
Nell’ antichità i governanti erano per lo più tiranni e despoti che imponevano a loro piacere imposte, gabelle e dazi spesso esosi ed esorbitanti su lavoro e beni. Il cittadino si sottometteva suo malgrado o reagiva cercando di occultare prestazioni e scambi. Nel tempo il rancore accumulato per le vessazioni subite ha alimentato i pregiudizi e la diffidenza verso le istituzioni che, in qualche misura, sono presenti ancor oggi. Se ciò era comprensibile verso governanti tiranni, oggi lo dovrebbe essere meno in presenza dell’applicazione del principio di capacità contributiva. Ma si sa, la natura umana è immutabile e, la genetica, contraria ad abbandonare l’antica sfiducia, sembra far aumentare la propensione verso l’economia “nascosta”. La maggior parte delle persone pare subire da essa un fascino inspiegabile. Infatti la loro reazione oscilla da indifferenza a malcelata simpatia. A tal proposito Frank A. Cowell, giornalista economico, osserva : “ Esattamente come la pornografia, l’economia sotterranea sembra suscitare nella gente un misto di indignazione, di curiosità colpevole e di ammirazione incredula”.
Riacutizzazione del fenomeno
Queste ragioni di ordine sociale, insieme ai vantaggi dello sfuggire all’imposizione fiscale e contributiva, fanno sì che il settore dell’economia sommersa sia oggi più attivo ridestando la preoccupazione dei governanti. In Italia ( in Belgio e in Spagna) il fenomeno è più acuto che negli altri paesi sviluppati essendo stimato al 23-28% del PIL contro una media del 16% (Schneider). Le inquietudini sono giustificate perché, al crescere dell’economia sommersa, dati ufficiali, come tasso di disoccupazione e reddito pro-capite, risultando sempre più distorti, possono condurre a scelte di politica economica erronee e inappropriate con le relative conseguenze negative.
Non è compito facile affrontare il problema e trovare soluzioni perché il fenomeno trova gli analisti non sempre concordi.
Sam Vaknin, ad esempio, giudica l’economia sommersa in termini positivi – è l’economia del contante, il contante è veloce -, addirittura una benedizione per i paesi in via di sviluppo. Senza economia sommersa, sostiene lo studioso, paesi come la Macedonia ed altri dell’Est sarebbero alla bancarotta. E’ stata l’economia al nero che ha permesso lì l’iniziale ricostruzione con lavoro e denaro disponibili subito senza tempi di attesa per sovvenzioni e burocrazie relative. Alla fine, sostiene ancora Vaknin, il denaro”nero” dei lavoratori quando viene speso rientra nell’economia legale. Ciò ci conduce a riflettere su altri fattori che oggettivamente possono dissuadere il cittadino all’osservanza delle regole. Ci riferiamo al peso della regolamentazione e ai costi di applicazione delle leggi.
Spesso il cittadino imprenditore è spinto a eludere la normativa per i fastidi inerenti alla burocrazia, difficoltà di interpretazione delle norme, quantità di domande e documenti da produrre, tempi lunghi per ottenere permessi ed autorizzazioni. Tutto ciò lo disincentiva ancor prima di porre in essere un’attività. E’ emblematico un esperimento condotto in Perù, riferito da un acuto giornalista economico Enrique Ghersi. Un gruppo di lavoratori, tra cui lo stesso autore, avvia una pratica per aprire una piccola impresa di costruzioni e lo fa ottemperando con estrema diligenza alle norme. L’autorizzazione arriva dopo un anno. Nel frattempo il gruppo non ha più risorse per iniziare l’attività. Contemporaneamente negli Stati Uniti, un conoscente di Ghersi, inoltra una pratica analoga ed ottiene l’autorizzazione nell’arco di una mattino. Sembra un aneddoto ma è invece una realtà che dovrebbe far riflettere sull’opportunità di snellire procedure, alleggerire costi e ridurre i tempi di attesa, soprattutto per le piccole attività, dove la produttività è bassa. Così come incoraggiare l’emersione con incentivi fiscali maggiori .
Tutto ciò potrebbe ancora non bastare. E allora? Forse si dovrebbe lavorare anche sul terreno della moralità pensando che l’economia al nero è quel passeggero che non paga il biglietto, si avvale di un servizio, ci irride, sapendo che noi sopportiamo il costo anche per lui. Forse quest’economia furba recederà quando la morale pubblica sarà coerente con la nostra moralità privata. O questa è solo un’ utopia?